Locomotiva tedesca in frenata, l’Italia paga

ECONOMIA. Centosessantotto miliardi e cinquecento milioni di euro. In un solo straordinario dato, ecco sintetizzata l’importanza del rapporto che lega l’economia italiana e quella tedesca.

Lo scorso anno l’interscambio tra Roma e Berlino, cioè la somma di esportazioni e importazioni, ha raggiunto infatti la cifra record di 168,5 miliardi di euro, il 18% in più del 2021. La Lombardia - nota la Camera di Commercio italo-germanica - con oltre 56 miliardi di euro vale un terzo dell’intero interscambio fra i due Paesi. Macchinari per l’industria, prodotti del comparto chimico-farmaceutico o dell’agroalimentare: è a partire da settori come questi che la Germania si conferma il nostro primo partner commerciale, mentre noi siamo il sesto partner per i tedeschi. Se dunque vogliamo indagare seriamente in quale direzione sta andando la nostra economia, dopo la battuta d’arresto del Pil (-0,3%) nel secondo trimestre 2023, non possiamo che guardare anche a nord del confine settentrionale.

Secondo il quotidiano americano «Wall Street Journal», la Germania è l’unico Paese del G20 - se si esclude la Russia - che nei primi tre mesi di quest’anno ha prodotto meno ricchezza di un anno fa. Nel secondo trimestre, la crescita del Pil della principale economia europea era in stallo, con una variazione dello 0% dai tre mesi prima, dopo che i due trimestri precedenti - entrambi in terreno negativo (-0,1% nel 1° trimestre 2023 e -0,4% nel 4° trimestre 2022) - avevano già portato il Paese in «recessione tecnica». Per il giornale tedesco «Frankfurter Allgemeine Zeitung», «il malato d’Europa è tornato». La Germania «investe, produce e consuma meno. Quasi ogni giorno, nuove cifre si aggiungono come tessere di un mosaico a questo quadro desolante. Il prodotto interno lordo ristagna, il miracolo economico verde promesso dal Cancelliere Scholz non è nemmeno in vista». Sulla stampa internazionale si susseguono analisi inquietanti. «Il motore economico dell’Europa è in panne: la Germania si deindustrializza, è il titolo di un reportage di «Politico.eu» che prende il via dai recenti annunci di delocalizzazione da parte del colosso teutonico della chimica Basf.

Cosa sta accadendo, in sintesi? «Messe di fronte a un cocktail tossico di alti costi dell’energia, carenze di lavoratori e lungaggini burocratiche crescenti, molte delle principali aziende tedesche sperimentano un brusco risveglio e vanno in cerca di pascoli più verdi in America del Nord e in Asia». Sempre secondo Politico.eu, «la trasformazione verde del Paese, la cosiddetta Energiewende, ha solo peggiorato le cose. Proprio mentre perdeva accesso al gas russo, Berlino ha spento tutte le sue centrali nucleari». Nemmeno sussidi pubblici generosi hanno consentito alle rinnovabili di fare fronte allo shock. Una situazione talmente complicata che il settimanale «Economist», non senza un pizzico di «Schadenfreude» in versione britannica, arriva a chiedersi: «Cosa succederebbe se la Germania smettesse di produrre automobili?». Domanda non del tutto peregrina, anche se Volkswagen nel 2022 è stata la prima Casa automobilistica del pianeta per ricavi.

Gli industriali infatti vedono nubi all’orizzonte. Tra le più scure e minacciose, c’è la complessa doppia transizione - elettricità e software - delle quattro ruote, e poi la trasformazione della Cina da mercato di sbocco privilegiato a temibile concorrente industriale e geopolitico. I toni pessimistici rispecchiano alcuni dati congiunturali. Nonostante un rimbalzo degli ordini a giugno, nello stesso mese la produzione industriale è scesa dell’1,5%, facendo peggio delle stime, trascinata dal risultato negativo dell’automotive. Sempre a giugno, in Germania, c’erano 200mila disoccupati in più di un anno fa, e in tutto il 2022 si è registrato un calo degli investimenti esteri per il quinto anno consecutivo.

La locomotiva tedesca, dunque, frena bruscamente e ormai da qualche tempo. L’economia italiana non poteva che risentirne, come osservato dalla presidente di Confindustria Bergamo, Giovanna Ricuperati, nel commentare il rallentamento della produzione industriale: «Pesa sulla nostra industria fortemente internazionalizzata la debolezza del mercato tedesco, nostro principale partner commerciale». Per un Paese trasformatore come il nostro, il contagio corre sulle rotte commerciali: nei primi cinque mesi dell’anno, l’export tricolore è aumentato del 4,8% verso tutto il mondo, ma è calato dello 0,9% verso Berlino. E altri effetti, purtroppo, dovremo ancora vederli.

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