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MONDO. Nel silenzio strategico che precede i grandi colpi d’autore, Ferrero ha messo a segno l’ennesima acquisizione.
Per 3,1 miliardi di dollari, attraverso l’acquisto in contanti di azioni al prezzo di 23 dollari ciascuna, il gruppo italiano della leggendaria Nutella guidato da Giovanni Ferrero ha rilevato WK Kellogg Co, l’azienda degli altrettanto leggendari Corn Flakes, simbolo della colazione all’americana assurto a modello di breakfast globale. Non esiste hotel al mondo che non abbia i Corn Flakes nel suo buffet del mattino.
È l’operazione concreta di chi vuole riscrivere la mappa dell’agroalimentare globale, e farlo da protagonista. Più di un’acquisizione, come ha spiegato lo stesso regista dell’operazione Giovanni Ferrero, si tratta dell’unione di due aziende familiari con un’importante tradizione e generazioni di consumatori fedeli. E non è retorica.
Da una parte c’è l’eredità del dottor John Harvey Kellogg, che nel 1894 inventò quasi per caso i fiocchi di mais: chicchi cotti, raffreddati, schiacciati tra rulli e tostati, inizialmente serviti ai pazienti del sanatorio di Battle Creek, nel Michigan, di cui era direttore. Quell’intuizione salutista aveva persino uno sfondo morale. I Corn Flakes non nacquero per deliziare il palato, ma per raffreddare i bollenti spiriti. Kellogg, medico avventista del settimo giorno, era convinto che una dieta vegetariana a base di cereali, legumi e frutta da sostituirsi a uova e pancetta potesse ridurre anche gli impulsi «peccaminosi». L’idea si trasformò in un colosso alimentare globale, grazie al talento del fratello Will Keith, l’economo del sanatorio, meno asceta e più business man. Anche se gli americani non rinunciarono a uova e pancetta, ma semplicemente aggiunsero quell’invenzione nelle loro colazioni che privilegiavano il salato.
Dall’altra c’è Ferrero. Una storia di famiglia, di crescita costante, di marchi che hanno fatto il giro del mondo: Nutella, Kinder, Ferrero Rocher e via gustando. Un gruppo che ha saputo diventare la terza multinazionale del cioccolato, presente in 170 Paesi.
La regia di Giovanni Ferrero, presidente esecutivo, ha spostato la bussola verso gli Stati Uniti, motore di crescita e campo di conquista. Cosa ci guadagna il gruppo? Tutto. Espansione geografica, consolidamento industriale, diversificazione di portafoglio, e un radicamento ancora più profondo negli scaffali e nelle cucine americane. Non è la prima volta: negli ultimi anni, l’azienda fondata da Michele Ferrero in un retrobottega nel 1946 ha accelerato il proprio processo di internazionalizzazione e diversificazione attraverso una serie di acquisizioni mirate. Nel 2018 ha rilevato per 2,8 miliardi di dollari il ramo statunitense della divisione dolciaria di Nestlé, comprendente marchi come Butterfinger e Baby Ruth. Nel 2019 si è presa i biscotti Keebler dalla stessa Nestlé. Nel 2022 ha poi acquisito Wells Enterprises, produttore di gelati come Blue Bunny e Halo Top, rafforzandosi anche nel comparto surgelati.
In un momento in cui gli Stati Uniti si barricano dietro dazi e misure protezionistiche Ferrero avanza a colpi di diplomazia industriale, parla la lingua del capitalismo familiare, si fa benvolere dalle comunità locali. È l’Italia che sa vincere nel mondo. Quella che compra, innova, ristruttura, crea posti di lavoro. Il mercato dell’agroalimentare è globale. E Ferrero ci gioca con una visione da multinazionale, ma il cuore di un’impresa familiare. Può sembrare retorica, ma non lo è. È storia.
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