Lula, gli ostacoli dopo la vittoria

Corsi e ricorsi. Negli anni Duemila la cosiddetta «marea rossa», ovvero l’ondata di elezioni che portò quasi ovunque al potere esponenti della sinistra di stampo socialista, ebbe il momento di massima svolta nel 2002, quando divenne per la prima volta presidente del Brasile (il Paese più vasto dell’America Latina, della quale costituisce oltre il 47%, e la nona economia al mondo) Luiz Inàcio Lula da Silva, il sindacalista uscito da una famiglia poverissima che aveva dato filo da torcere anche alla dittatura militare.

Oggi, tocca ancora a Lula, riportato per la terza volta alla presidenza da un margine ristrettissimo di voti (l’1,8%) sull’ex militare Jair Messias Bolsonaro, certificare il ritorno di quella marea. Anzi, di uno tsunami politico che per la prima volta ha affidato alla sinistra il governo contemporaneo delle cinque maggiori economie del continente: nel 2018 è arrivato alla presidenza del Messico Andrés Manuel Lopez Obrador, nel 2019 Alberto Fernàndez a quella dell’Argentina, nel 2022 hanno vinto Gabriel Boric in Cile e Gustavo Petro in Colombia, il primo presidente di sinistra nell’intera storia del Paese. E adesso, appunto, Lula in Brasile. Da non dimenticare, peraltro, anche la vittoria di Pedro Castillo in Perù e l’elezione della prima donna presidente, Xiomara Castro, in Honduras nel 2021.

Oggi come allora, si parla di Paesi molto diversi tra loro e di formazioni politiche e personaggi che spesso hanno in comune solo una vocazione «a sinistra», declinata però in modi e con idee poco compatibili tra loro. Allora, per fare un esempio, in Venezuela governava Hugo Chavez, che cercò di trasformare la «marea rosa» in un riconoscibile movimento transnazionale. Sempre negli anni Duemila, il governo delle sinistre fu favorito dalla congiuntura internazionale che rese particolarmente redditizia l’esportazione delle materie prime di cui l’America Latina abbonda, dal petrolio ai generi alimentari, dai fertilizzanti ai minerali. Con i quattrini così incassati quei governi poterono finanziare politiche impegnative a favore delle classi sociali più povere. Lula, per tornare al Brasile e al vincitore di ieri, fu premiato con la rielezione nel 2006 e con un favore popolare che non è venuto meno, come abbiamo visto, neanche con la tempesta giudiziaria che dal 2016 al 2019 lo ha portato anche in carcere e ha rischiato di travolgerlo.

Sono cambiati i tempi e le congiunture e anche il Lula che affronta il terzo mandato presidenziale è piuttosto diverso dal coraggioso tribuno dei primi anni Duemila che proclamava «Luz para todos» (Energia elettrica per tutti) e «Fome Zero» (Fame Zero, e nel primo mandato fece calare la malnutrizione infantile del 46%) e ridusse la deforestazione dell’Amazzonia da 27 mila chilometri quadrati l’anno a 4.500). Per sconfiggere Bolsonaro, Lula ha dovuto stringere alleanze con i partiti di centro e imprimere una frenata moderata al proprio programma. Ha vinto, il che dimostra che la sua intelligenza politica è intatta. Ma ha vinto con pochissimo margine, e questo invece fa capire che il tempo dei proclami è decisamente passato. In più, dovrà fare i conti con un Parlamento tendenzialmente ostile, dove il gruppo più numeroso è proprio quello dei Liberali di Bolsonaro, che hanno la rappresentanza più corposa della loro storia. In 13 dei 27 Stati che formano il Brasile, inoltre, governano esponenti del partito di Bolsonaro, contro i 10 che invece si richiamano a Lula.

Nella «lettera al Brasile di domani», con cui ha illustrato il programma agli elettori, Lula ha promesso di realizzare una miscela di «responsabilità fiscale, politiche sociali e sviluppo sostenibile», secondo le parole d’ordine comuni a tutta la sinistra internazionale. Mantenga o no le promesse, Lula avrà comunque bisogno di tutta la sua capacità di manovra per passare di compromesso in compromesso senza ritrovarsi nelle paludi di una guerriglia con il Parlamento e con l’apparato dello Stato che finirebbe per bloccarlo. A 77 anni, affiancato da Rosangela da Silva, la terza moglie di 21 anni più giovane conosciuta mentre era in carcere, il vecchio-nuovo Presidente sembra avere tutta l’energia necessaria per un simile braccio di ferro. Ma sarà dura, e fin da subito.

© RIPRODUZIONE RISERVATA