Mattarella, garanzia
di un paese piegato

Affondata la maggioranza del Conte-due, per evitare le elezioni
nel bel mezzo della pandemia e della crisi economica Sergio Mattarella procederà alla formazione di un governo tecnico istituzionale o, come si dice, «del presidente»: sarà «di alto profilo» e non farà riferimento «ad alcuna formula politica». Il Capo dello Stato ha fatto appello a tutte indistintamente le forze politiche perché diano la fiducia al nuovo gabinetto. Già oggi sapremo il nome della personalità cui Mattarella conferirà l’incarico, i nomi si conoscono: Mario Draghi su tutti, ma anche il governatore della Banca d’Italia Visco, l’ex presidente della Consulta Cartabia, il professor Cottarelli che già ebbe, in circostanze analoghe, la missione di trovare una soluzione di emergenza.

È un gesto di estrema responsabilità, quello di Mattarella che ha spiegato minuziosamente perché oggi non può sciogliere le Camere e andare al voto anticipato: perché serve un governo nel pieno delle sue funzioni per combattere il virus, per completare la campagna vaccinale, per affrontare la crisi sociale ed economica che esploderà con la fine del blocco dei licenziamenti. Inoltre ha spiegato che andare a votare con il virus che ancora circola può significare, come è accaduto in altri Paesi, un aumento dei contagi.

Dunque il Capo dello Stato sente come suo dovere respingere l’appello di quanti dall’opposizione di centrodestra gli chiedono di correre alle urne: soprattutto Fratelli d’Italia, ma anche, sia pure in maniera più ondivaga, la Lega e, con nessuna convinzione, Forza Italia. Come si comporteranno dunque i partiti di fronte all’iniziativa del Quirinale? È chiaro che Mattarella si aspetta che i partiti della ex maggioranza, per quanto impotenti nel mettere in piedi un loro governo, diano il sostegno al nuovo esecutivo. Se poi è da escludere il voto favorevole di Giorgia Meloni e (forse) di Matteo Salvini, è presumibile che si formi una maggioranza «Ursula», come abbiamo detto più volte: i partiti che votarono Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione europea sono il Pd, il M5S e Forza Italia più centristi vari. Berlusconi, che è sempre stato favorevole a una simile soluzione - sia pure ammantandola di nomi vaghi tipo «governo dei migliori» - avrà motivo di distaccarsi dai suoi alleati spiegando loro che non può non accogliere l’appello al senso di responsabilità nazionale che è venuto dal Presidente della Repubblica. Si tratta poi di vedere come sarà composto questo governo: se ci saranno solo tecnici, come accadde con Mario Monti ai tempi di Napolitano e della crisi finanziaria, o anche politici come fu con Carlo Azeglio Ciampi nel momento più drammatico della fine della Prima Repubblica.

Si è arrivati alla rottura della vecchia maggioranza perché, nonostante gli sforzi del Pd e di LeU, Renzi e i grillini non sono riusciti a trovare un accordo né sul programma né sui nomi dei ministri. Ora naturalmente i due partiti si scaricano reciprocamente la responsabilità della rottura del tavolo imbandito da Roberto Fico nel suo mandato di esploratore («imparziale» lo ha definito Mattarella), e il sospetto è che Renzi abbia cercato intenzionalmente di far saltare le trattative per poter archiviare definitivamente la presidenza Conte e aprire la strada a un governo istituzionale. Ma sia come sia, ora i cocci sono in terra e la vecchia e fragile alleanza è un campo avvelenato. La domanda è se basterà l’appello severo, e per certi versi angosciato, del Capo dello Stato a rimettere in riga partiti così divisi, così litigiosi tra loro e al loro stesso interno (anche ieri il M5S, in piena crisi di leadership, ha subito un’altra significativa uscita di un parlamentare importante in direzione del centrodestra).

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