Meloni è in linea con Mattarella, ma Berlusconi no con le sue giravolte

Il commento. Le esternazioni putiniane a base di Vodka e di Lambrusco di Silvio Berlusconi – carpite o volute che siano – stanno animando il rito stanco delle consultazioni. Ma la ricreazione sta per finire: il Capo dello Stato sa bene come dare il suo sigillo al prossimo governo della Repubblica, il primo guidato da una donna. Il ruolo di Mattarella in questa fase non è affatto notarile, anzi. L’articolo 92 della Costituzione stabilisce che l’uomo del Colle «nomina il presidente del Consiglio dei ministri e su proposta di questo i ministri».

In questo «nominare» i ministri (sancito da un decreto presidenziale) c’è tutto il suo potere di orientamento e di veto che gli assegna la nostra Carta. La leader di Fratelli d’Italia lo sa bene ed è stata molto attenta - nel predisporre la lista dei futuri titolari dei dicasteri - a non suscitare la contrarietà del presidente della Repubblica. Non dovrebbe esserci un mandato esplorativo perché le urne hanno parlato con estrema chiarezza: il premier incaricato si chiama Giorgia Meloni, leader della maggioranza di centrodestra. Nella scelta dei ministeri però va rispettata la Costituzione, di cui il Capo dello Stato è il garante, l’unico nel gioco politico capace di fare una scelta indipendente e ponderata. Questo significa che la linea politica del nuovo governo deve muoversi in un contesto europeista e atlantista.

Lo si è visto nel 2018 quando Conte e Salvini avevano proposto l’economista Paolo Savona all’Economia, sospettato di euroscetticismo: sulla sua assegnazione è calata la ghigliottina del Colle. Ora gli stessi dubbi sorgono per la nomina a ministro degli Esteri dell’ex commissario e presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Il suo curriculum parla da solo ma le giravolte di Berlusconi - con la sua rozza ricostruzione dell’invasione russa - mettono in dubbio questa scelta. Non è un mistero che il leader di Forza Italia sia rimasto finora con un pugno di mosche nell’assegnazione delle poltrone e che le sue richieste siano rimaste lettera morta. La presidenza della seconda carica dello Stato è andata a uno dei fondatori di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa, mentre quella della Camera è stata assegnata a un leghista. Del ministero della Giustizia all’ex seconda carica dello Stato Casellati non se ne parla, tantomeno dell’entrata nella compagine ministeriale della fedelissima Ronzulli. Tra i ministeri di peso rimangono solo gli Esteri, anch’essi in forse per le note vicende.

Forse il Cavaliere pensava che lo «sdoppiamento» tra le dichiarazioni filo atlantiste e filo ucraine dei suoi deputati e senatori, a cominciare da Tajani - che si sta ammazzando di tweet per rimarcare il suo europeismo e atlantismo - e il ricordo della sua vecchia amicizia con Putin gli avrebbero procurato potere di contrattazione politica, secondo un copione che comprende la minaccia velata di uscire dalla maggioranza, ma il sospetto è che sia finito per rimanere intrappolato nelle sue giravolte. Un altro ministero sensibile è quello dell’Economia, visto quello che ci aspetta, tra inflazione, crisi energetica e recessione in arrivo (come prevede Bankitalia). Ma la scelta del leghista Giorgetti - gradito a Mattarella ma soprattutto a Mario Draghi - dovrebbe mettere al riparo la futura premier da eventuali altolà. Anche l’opzione di un tecnico al Viminale - se verrà confermata - si è rivelata molto saggia. Oggi il centrodestra unito salirà al Colle e a parlare «sarà Meloni», come è stato annunciato. Vedremo se Giorgia manterrà la sua determinazione come ha fatto finora. Ma di Berlusconi in questi casi si conoscono persino le imbarazzanti doti di «mimo» (come quando si è messo a contare le dita della mano a fianco a Salvini per attirare l’attenzione). Staremo a vedere, è il caso di dirlo.

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