Mobilità, tre anni per provare a cambiare

TRASPORTI. Tre anni di lavoro, e non stiamo parlando solo di cantieri, ma del tempo necessario per (ri)disegnare un nuovo assetto del sistema del trasporto pubblico locale della Grande Bergamo.

Termine più che abusato, purtroppo nella pratica privo di risultati, ma comunque ancora il più adatto a definire quella cerchia di paesi che preme sul capoluogo. In ogni senso, a cominciare dal traffico. Da qui a fine 2026 saranno pronti sia la linea 2 del tram che l’E-Brt, il sistema di autobus elettrici in sede propria che collegherà il capoluogo al polo universitario (se ci sarà ancora) di Dalmine e da qui la stazione ferroviaria di Verdello con una diramazione interna al Kilometro Rosso. Un intervento che qualche (legittima) perplessità l’ha suscitata, anche se sarebbe interessante provare ad andare oltre la solita (a tratti stucchevole) diatriba dei parcheggi a lato strada. Perché se i parametri con cui si misura la mobilità (e in taluni casi anche il commercio) cittadina restano questi è difficile pensare che le cose possano cambiare in futuro.

A proposito di cambiamenti, sempre a fine 2026 dovrebbero vedere la luce la nuova stazione di Bergamo da dove partiranno sia l’E-Brt che la T2 direzione Villa d’Almè, ma anche il collegamento ferroviario per l’aeroporto. E sempre in quello stesso periodo sarà pronto il raddoppio della linea ferroviaria fino a Curno. Potenza del Pnrr che ha scaricato su città e hinterland una pioggia di milioni per investimenti sul fronte delle infrastrutture e della mobilità.

Ma ora comincia il difficile, ovvero pensare a un nuovo sistema di mobilità che faccia perno su queste opere. Che, sia chiaro, non esauriscono il panorama di quelle necessarie per il territorio e una migliore gestione dei flussi di traffico da e per il capoluogo, ma sono comunque una buona base di partenza sulla quale lavorare. Per farlo serve però un salto di qualità complessivo, una visione capace di superare quell’annosa diatriba tra mezzo pubblico e privato che caratterizza ormai da decenni la gestione del tema, e anche un paio di punti fermi. Il primo: il trasporto collettivo è da preferire per più di un motivo, a cominciare dal fatto che sposta un numero importante di persone con impatti minori su diversi fronti, in primis quello ambientale. Il secondo, la guerra alle auto a prescindere non porta nessun risultato, bisogna semmai lavorare perché venga utilizzata il meno possibile tenendo però conto del fatto che spesso è l’unica opzione. O comunque la più adatta a determinate circostanze. Per farla breve, se sono un pendolare seriale è necessario lavorare sul versante di autobus, treni e tram, se sono un frequentatore estemporaneo (o mirato) del centro creare le condizioni per una sosta regolamentata e che sia la più breve possibile. Niente barricate ideologiche, non servono in ambo i casi.

Da qui a fine 2026 è necessario però pensare a un riassetto dell’offerta di trasporto pubblico che sia davvero competitiva e conveniente, sia in termini economici (ma i chiari di luna del Tpl non fanno ben sperare) che di gestione del tempo. Che alla fine è una delle risorse più preziose che ci rimane. Serve una visione nuova, qualche soluzione anche coraggiosa se necessario , e soprattutto una politica (trasportistica e non) capace di andare al di là del proprio metro quadro di appartenenza.

Per esempio, i sindaci vicini al tracciato della T2 hanno paventato il rischio - reale - di diventare una sorta di Cascina Gobba della Val Brembana, un’indistinta e anonima area di parcheggio: la loro sollecitazione a rivedere tutto il sistema del trasporto pubblico in un’ottica diversa dall’attuale e alla luce delle nuove infrastrutture va sicuramente raccolta e condivisa. Lì e altrove, in tutte le zone interessate da questi interventi, perché non si può pensare di avere risposte nuove con soluzioni vecchie. E soprattutto di sprecare questa occasione, perché è difficile immaginarne altre a breve termine. La vera sfida inizia ora.

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