Nei 5 Stelle ormai
è tutti contro tutti

Quando il maggior partito del Parlamento si divide e litiga, il Governo soffre e rischia. È una legge della politica talmente ovvia che non si può mai smentire. È talmente vera che in questi ultimi mesi il governo Conte è riuscito a stare in piedi, a parte la pandemia, perché il Pd – partito «di governo» per natura e storia ma pur sempre secondo partito della coalizione giallo-rossa – si è dovuto assumere il compito non suo di fare da sostegno a Conte: i 5 Stelle non erano in grado di adempiere al loro compito, troppo divisi.

È noto che dopo le dimissioni di Di Maio, il ritiro di Grillo in villa e le difficoltà del giovane Casaleggio (privo, in realtà, del carisma e del potere del padre), il Movimento ha più volte sbandato perdendo un punto di equilibrio. Aver incoronato lo scialbo Vito Crimi come «leader politico» è apparso a tutti come l’escamotage di Di Maio per mantenere le mani sul volante senza farsene accorgere. Solo che questo gioco – che per esempio funziona benissimo nella lottizzazione delle poltrone di sottogoverno – via via si è fatto sempre più difficile per la crescente e manifesta opposizione a Di Maio di parecchie delle correnti interne. Contro di lui tutti gli ex ministri e sottosegretari, delusi e arrabbiati per essere stati strappati ai duri sacrifici del potere governativo e determinatissimi a tornare a galla (spiccano tra questi le due ex ministre Lezzi e Grillo). Poi ci sono gli espulsi e gli emigrati che da fuori continuano a soffiare sul fuoco: tra questi il giornalista Gianluigi Paragone, aperto sostenitore di Alessandro Di Battista, detto «Dibba», il bel ragazzo della Roma bene che guida l’ala «rivoluzionaria». Dopo molti dubbi, nascosti dai ripetuti viaggi in Paesi lontani a pie’ di lista del «Fatto quotidiano», Dibba si sarebbe ora finalmente convinto a gettare il guanto di sfida e a correre per la guida del movimento in funzione anti-Di Maio e soprattutto anti governo giallo-rosso e anti collaborazione col Pd in nome della verginità «rivoluzionaria» del «movimento che non si allea con nessuno ma governa da solo». Appena però ha tirato fuori la mano, Grillo si è risvegliato dal letargo e istantaneamente gliel’ha tagliata sbeffeggiandolo in pubblico. E si capisce: il comico vuole che il M5S non solo resti alleato del Pd, ma pensa di inserirlo nell’orbita del centrosinistra con accordi elettorali in tutte le tornate. Considerando che, a oggi, il M5S ha perso più della metà dei voti delle ultime politiche, questi patti per le urne sarebbero una mano santa per la sopravvivenza. Perciò Di Battista va rimesso al posto suo. Nel frattempo Conte, sentendo puzza di guerra di tutti contro tutti, prudentemente giura che dopo la sua duplice avventura a palazzo Chigi intende tornare a fare l’avvocato: naturalmente nessuno gli crede però la dichiarazione serve per il momento a metterlo al sicuro. In tutto ciò, è scoppiato lo scoop del giornale spagnolo ABC che parla di un finanziamento segreto ai Cinque Stelle da parte del governo venezuelano dello scomparso dittatore Chavez. Piovono smentite e minacce di querele ma il giornalista autore del colpaccio conferma di avere solide prove. E così si torna con la memoria alla linea di politica estera del governo italiano allorché, unico in tutto l’Occidente, si rifiutò di riconoscere la legittimità dell’autoproclamato presidente venezuelano Guaidò in opposizione a Maduro successore di Chavez. Una linea che a suo tempo costò all’Italia un isolamento molto pesante e le proteste degli americani: il M5S però non si smosse. Oggi molti collegano quella scelta alla storia del finanziamento occulto. Affrontare il voto parlamentare già previsto per domani sul Mes con i grillini in queste condizioni di sbando sarebbe stato mortale per il governo. Fortunatamente per Conte la cosa non accadrà: il voto è stato rinviato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA