Non solo Qatar: l’energetica ascesa araba

Mondo.È bene sperare che la rinnovata attenzione verso la Penisola Arabica non svanisca del tutto con la fine dei Mondiali di calcio in Qatar. Infatti in quel gruppo di Stati (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar e Yemen) si torna a decidere una parte sempre più importante del futuro energetico - ed economico in generale - di noi europei.

Per spiegare la rinnovata centralità di un Paese come l’Arabia Saudita, per esempio, è utile unire alcuni «puntini» relativi a fatti avvenuti nell’arco di appena una settimana. Partiamo da questo sabato, cioè dalla conclusione della visita ufficiale nella capitale saudita Riad del presidente cinese, Xi Jinping, la prima dal 2016. Per coglierne il senso profondo, occorre andare oltre le calorose strette di mano tra Xi e il principe ereditario Mohamed Bin Salman, e oltre i ricchi accordi commerciali siglati per un valore di 29 miliardi di dollari. Partendo dal fatto che la Cina è diventata la prima acquirente di petrolio greggio dall’Arabia Saudita e che di recente ha incrementato di molto gli acquisti di gas naturale, Xi ha avanzato infatti due ulteriori proposte: la prima consiste nel pagare almeno una parte dell’oro nero saudita direttamente in yuan cinesi e non più in dollari americani, la seconda nell’avviare la costruzione di una centrale nucleare in loco. Due iniziative che segnalano l’intenzione di coltivare una relazione di lungo termine e potenzialmente alternativa – o almeno concorrente – a quella che Riad ha storicamente intrattenuto con gli Stati Uniti. Così Pechino corrisponde con abilità al desiderio manifestato negli ultimi anni da Paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti di avviare una politica delle alleanze maggiormente indipendente, a fronte della percezione che Washington si stia disinteressando dal Medioriente.

Il secondo «puntino» da unire per spiegare la nuova centralità saudita si colloca nel cuore dell’Europa, in Svizzera. Venerdì scorso Credit Suisse, colosso bancario del Paese, ha completato positivamente il suo aumento di capitale da 4,06 miliardi di euro nel tentativo di tamponare una recente fuga di clienti. Se gli investitori dell’istituto nato nel 1856 possono tirare un sospiro di sollievo, lo devono all’ingresso nel proprio capitale di Saudi National Bank, banca controllata dal fondo sovrano saudita, che è diventato nell’occasione azionista di riferimento con il 9,9% di Credit Suisse. Né è finita qui: il titolo del gruppo elvetico è risalito in Borsa dopo alcune indiscrezioni secondo cui il principe saudita MBS intende partecipare con 500 milioni di dollari al progetto di scorporo della banca d’investimento da Credit Suisse.

Il terzo e ultimo «puntino» di questa spiegazione coincide con Saudi Aramco, la compagnia nazionale saudita di idrocarburi. La notizia di una settimana fa è che Saudi Aramco Base Oil (Luberef), unità di raffinazione del gigante petrolifero, si aspetta di raccogliere almeno 1,32 miliardi di dollari dall’imminente quotazione in Borsa. Si tratterebbe dell’ennesimo record del gruppo di Riad. La quotazione della casa madre, Saudi Aramco, nel 2019 fu la più grande della storia. E la scorsa primavera sempre Saudi Aramco ha superato l’americana Apple come azienda di maggior valore al mondo, raggiungendo quota 2.430 miliardi di dollari. Dietro questo equilibrio cangiante, ci sono da una parte per Apple i problemi delle catene del valore e la fase di disinvestimento dall’hi tech per Apple, dall’altra per Aramco l’aumento sostenuto dei prezzi energetici per Aramco. Una nuova tendenza che favorisce, su diversi livelli, il protagonismo globale dei grandi produttori di combustibili fossili come Riad e di cui faremmo bene a tenere conto.

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