Nuovi poveri, l’altra
lotta contro il Covid

Settembre e in generale l’autunno è il tempo che era stato indicato per misurare gli effetti disastrosi della pandemia di Covid sull’economia e sul lavoro. Del resto un sentore di cosa potrà accadere lo abbiamo avuto già nei mesi scorsi: nella Bergamasca le cessazioni (cioè i contratti non rinnovati) sono state 65 mila, da gennaio a luglio scorso. E sono centinaia le piccole imprese e gli esercizi commerciali che non hanno riaperto dopo il lockdown. I numeri non sono neutri, rappresentano persone che nell’arco di poco tempo si ritrovano senza reddito e in molti casi con famiglie a carico, a fare i conti con la difficoltà di ottenere un nuovo posto, in particolare i cinquantenni, stretti fra due evidenze: troppo giovani per andare in pensione e giudicati troppo «anziani» per essere ricollocati.

Sono biografie note a chi opera nelle imprese, nei sindacati e nel sociale. Sono i «nuovi poveri», termine in uso già dal 2008 quando esplose la crisi finanziaria. Nuovi non nel senso che si sommano alle persone già conosciute che vivono in strada e accedono ai dormitori, ma rappresentanti di una povertà che entra nelle loro vite provocando una cesura: un prima, nel quale si aveva un reddito per pagare spese familiari, mutuo o affitto, bollette e il mantenimento dell’auto; un dopo, nel quale, perso il reddito e finiti gli ammortizzatori sociali (quando ci sono), precipita in un gorgo, soprattutto se non si è proprietari dell’abitazione.

Ma c’è un termometro per misurare questo dramma più dal di dentro. Sono duemila le famiglie che ogni anno si rivolgono per aiuti materiali ai 70 Centri d’ascolto nella Bergamasca gestiti dai volontari della Caritas. A maggio se ne erano aggiunte altre 350 e ad oggi le richieste di sostegno sono raddoppiate. Il problema alimentare è spesso una parte di esistenze andate fuori rotta: c’è un’altra forma di povertà altrettanto grave, la solitudine, anche tra i giovani. E chi è solo, privo di relazioni familiari o amicali, fa molta più fatica perché non ha agganci, non ha una rete di sostegno. Emblematico il titolo scelto dall’iniziativa di Caritas e Diocesi, un fondo da 10 milioni rivolto in particolare al ceto medio colpito dalla pandemia e arretrato nella nuova povertà: «Nessuno resti indietro», un invito affinché quell’arretramento non diventi definitivo.

Ma nella Bergamasca sono molte le iniziative di aiuto alle vittime economiche del Covid. In campo ci sono anche i servizi sociali dei Comuni, le associazioni di volontariato e le 68 conferenze della San Vincenzo, che con i suoi 600 volontari nel 2019 hanno dato sostegno a 2.304 famiglie, dato in crescita già nel 2018 e destinato a salire ulteriormente quest’anno. Oggi questa generosa realtà insieme al Centro di servizio per il volontariato (Csv) e alla Caritas promuove per la prima volta una raccolta di generi alimentari (e non solo) in 45 punti vendita Conad, tra città e provincia, sotto lo slogan «Dona una spesa». Ad ogni persona che entrerà nei market verrà consegnato un sacchetto nel quale collocare generi di prima necessità a beneficio di 4 mila 500 famiglie in difficoltà. Per ogni prodotto acquistato, Conad ne darà uno in omaggio da donare ai bisognosi.

L’obiettivo è anche garantire continuità alle iniziative spontanee sorte durante il lockdown, una mobilitazione che ha risposto non solo a necessità materiali (come la consegna della spesa a domicilio) ma pure emotive, come quella solitudine nascosta e dolorosa. L’iniziativa vede alleati i mondi del non profit e del profit, una collaborazione necessaria in tempi di crisi così dura. Un fine primario è anche la sensibilizzazione verso le nuove povertà, che spesso non si vedono, per il pudore che contraddistingue i bergamaschi: cavarsela da soli finché non si precipita. Donare una spesa è un piccolo segno ma dal grande valore umano, perché nessuno resti indietro.

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