Occidente e cittadini russi, la porta non va chiusa: cercare una via di pace

Il commento. Eh no! Non prendiamocela con i popoli, con la cultura e con l’istruzione. Per evitare il rischio che la tragedia ucraina si aggravi ulteriormente è importante mantenere aperti alcuni canali e tentare una de-escalation. Da settimane, come moglie e marito all’atto di un travagliato divorzio, russi e occidentali studiano tutte le possibili cattiverie da farsi. L’ultima della serie è la proposta da parte di deputati estoni - su istigazione di blogger (classici «tigri» della tastiera) - di chiedere all’Unione europea di non concedere più ai cittadini russi visti dello spazio Schengen.

Dopo le espulsioni reciproche di diplomatici nei mesi scorsi, i centri Ue in Russia sono oggi al collasso per mancanza di personale e l’attesa per completare una pratica è lunghissima. Non meglio se la passa il progetto Erasmus plus, uno dei fiori all’occhiello dei Ventisette, dedicato a studenti universitari e alla cooperazione scientifica. In sostanza, i litiganti se la sono presa anche con ragazze e ragazzi, poco più che adolescenti.

L’ipotetico bando dei visti Schengen è invero un autogol di quelli clamorosi e mostra la scarsa conoscenza quell’attuale situazione in Russia. Qui è in corso - lo iniziano a mostrare anche i sondaggi di opinione, leggermente più indipendenti - uno scontro dietro alle quinte tra la generazione sovietica dei 70enni, che, ubriaca di propaganda televisiva, appoggia l’operazione militare speciale in Ucraina, e quella dei minori di quarant’anni, persone spesso pienamente integrate nel mondo globalizzato, che chiede l’apertura di immediate trattative con Kiev.

Da sempre i russi sono innamorati della cultura europea; nelle più diverse epoche i loro maggiori scrittori e intellettuali hanno soggiornato a lungo ad ovest; milioni di viaggiatori di dopo il crollo dell’Urss hanno facilitato l’entrata del Paese nel mondo più avanzato. Adesso il tirare la porta in faccia non serve a nulla. Anzi. Tentare di dialogare, in un momento così complicato, partendo dall’uomo della strada è la prima risposta a chi accusa falsamente gli occidentali di «russofobia». È l’ora, al contrario, di facilitare gli iter burocratici e di inventarsi qualcosa per non perdere un bagaglio decennale di sentimenti positivi. Una cosa è il semplice cittadino, un’altra le classi dirigenti, responsabili delle scelte politiche.

In Russia, diciamola tutta, vi è una generazione, piena di complessi ereditati dal passato, che sta uscendo di scena con clamore e che con la sua azione provocherà danni enormi ai più giovani. Il desiderio di vivere la gloria del passato, di ottenere vittorie storiche, di ricreare l’Unione Sovietica 2 ha portato il gigante slavo in un territorio pericoloso.

Pare impossibile pensare che gli oligarchi o i ricconi russi in genere, in futuro, abbandoneranno Londra, New York, Parigi, la Svizzera per trasferirsi a vivere a Pechino o a Pyongyang. Tenere aperto questo canale di dialogo, possibilmente rimettendo anche al più presto dei voli aerei diretti, è uno dei modi per accorciare la tragedia in corso in Ucraina. Questo tipo di isolamento non paga, diciamocelo.

Una cosa è il blocco commerciale, finanziario e economico; un’altra quello delle persone, che sarebbero abbandonate in balia della propaganda tambureggiante e non avrebbero più la possibilità coi propri occhi di verificare le realtà altrui. La dichiarazione della Finlandia, prossimo membro Nato, che ha riaperto le sue frontiere ai turisti russi incute ottimismo. Capire che la società federale non è quel blocco monolite, riportato dalle cronache

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