Ora fare i conti
con la Brexit

L’accordo in extremis è firmato, ma è presto per cantare vittoria. Nei trattati di così grande importanza le insidie si nascondono sempre «nelle virgole», nei dettagli, assicurano esperti negoziatori. I Parlamenti e i governi, che verranno chiamati presto a ratificarlo, leggeranno le circa duemila pagine scritte dai diplomatici europei e britannici con estrema attenzione. Insomma basterà un piccolo sassolino per mettere in pericolo (o addirittura far saltare) l’intero processo della Brexit con il rischio che l’incubo del cosiddetto «No Deal» (ossia nessun accordo) torni prepotentemente a galla. Nelle giornate febbrili, prima di Natale, Bruxelles e Londra hanno tentato tutte le strade possibili per raggiungere un’intesa, anche quella del negoziato ad oltranza.

Altrimenti il primo gennaio 2021 sarebbe stato destinato ad entrare nei libri di storia come una giornata nera per l’intero Vecchio continente. In sintesi: Regno Unito isolato per la mutazione britannica del Covid; migliaia di autotreni bloccati a Dover; uscita disordinata dall’Unione europea dopo anni di infruttuose trattative.

Ed invece Bruxelles e Londra si sono date ora una chance. Il punto è – sempre in caso di ratifica, tutt’altro che scontata – capire chi dei due contendenti l’abbia davvero spuntata e a quale prezzo, e quali saranno le conseguenze a breve e medio termine di questa Brexit.

Urge una premessa: la vittoria di Joe Biden in America, certificata solo un paio di settimane fa, ha cambiato le carte in tavola ed ha imposto ai britannici la necessità urgente di un «Deal» con l’Ue per evitare di venire isolati nel mondo globalizzato per i prossimi 4 anni.

Boris Johnson è stato costretto a prendere atto che la sconfitta di Trump ha significato a livello geopolitico la fine, per adesso, del progetto conservatore di mondo anglo-americano in antitesi, in Occidente, a quello dei Ventisette.

L’asse franco-tedesco aveva, al contrario, l’esigenza di mostrare ad alcuni membri riottosi – quali ad esempio la Polonia (già si parla di Polexit) e l’Ungheria – che uscire dall’Unione è costoso e poco conveniente. Punire il Regno Unito era, quindi, anche un modo per garantirsi da future spinte centrifughe.

Alla fine in questo divorzio, a parte le comprensibili dichiarazioni politiche finali di convenienza, ha prevalso il buon senso e la necessità di evitare strappi dolorosissimi. La sensazione diffusa è che per alcuni capitoli sarà comunque indispensabile nei prossimi mesi o anni tornare ancora a sedersi attorno ad un tavolo. Troppo vasta è infatti la materia discussa dai diplomatici.

Le parti hanno deciso oggi di non applicare imposte se verranno mantenute in piedi le attuali intese anche dopo il primo gennaio 2021. Se qualcuno le vorrà cambiare in futuro partiranno i dazi.

I britannici perdono i vantaggi di essere membri del mercato unico e, stando ad alcuni calcoli, vedranno andare in fumo circa 100 miliardi di sterline l’anno su un Pil nel 2019 di 2,6 trilioni. La bastonata più dura la prenderà il settore dei servizi (finanziario, legale e di consulting).

Gli europei sono riusciti dal loro canto ad evitare che risorga la frontiera tra le due Irlande. «Sono state ridotte al minimo le conseguenze pessime della Brexit», ha commentato da Dublino il premier Michael Martin.

Il Regno Unito dovrà tuttavia guardarsi dentro casa. La Brexit è contro gli interessi scozzesi, ha commentato il primo ministro Nicola Sturgeon, che ha aggiunto: «È tempo che la Scozia diventi una nazione europea indipendente». Edimburgo potrebbe presto essere più vicina a Bruxelles che a Londra.

© RIPRODUZIONE RISERVATA