Ora la strada per il governo è molto in salita, Silvio non farà il gregario

Il commento. Nel giorno in cui il leghista veneto Lorenzo Fontana viene eletto presidente della Camera tra le molte proteste delle opposizioni, si palesa una verità politica: per il centrodestra la strada verso il governo è davvero molto in salita. I rapporti tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi sono infatti già ai minimi termini tanto da mettere in crisi la formazione della squadra ministeriale. La notizia del giorno è questa: Berlusconi ha definito la vincitrice delle elezioni «supponente, prepotente, arrogante, offensiva» aggiungendo che «con lei non si può andare d’accordo». Lei ha risposto con una frase che è una bomba: «Aggiungici pure che non sono ricattabile».

Entrambi hanno parlato ai giornalisti volutamente, tant’è che è caduto nel vuoto l’invito di La Russa al Cavaliere di smentire le sue affermazioni (che erano contenute in un appunto scritto mostrato a bella posta ad un fotografo): Berlusconi non ha smentito un bel nulla. E così la Meloni alla prima telecamera accesa che ha incontrato per strada ha risposto per le rime e con doppiosenso pesantissimo: davvero contro di lei si sono tentati dei ricatti? La verità è molto semplice: Berlusconi non ci sta a fare il gregario. Per troppi anni è stato abituato a fare e disfare nella parte politica del suo impero trattando gli alleati come dei vassalli. Ora che il suo partito è sceso all’8% (e anzi, è stata anche una gradita sorpresa, le previsioni erano ben altre) e che lui è avanti negli anni, Meloni gli dice a chiare lettere chi comanda nella coalizione: lei. Tant’è che non ha accettato, per la formazione del governo, gran parte delle richieste di ministeri e di nomi da parte di Forza Italia. Esemplare il caso di Licia Ronzulli cui è stata sbarrata la porta della Sanità nonostante le fortissime pressioni di Berlusconi.

Ora si pensa che Forza Italia potrebbe presentarsi da sola alle consultazioni del Capo dello Stato: se accadesse, sarebbe la dimostrazione palese che il centrodestra, uscito vincitore dalle urne, in realtà è talmente diviso da non riuscire nemmeno a presentarsi unito al Quirinale

Ecco dunque il perché della rivalsa nel non voler votare il nome di La Russa alla presidenza del Senato - mossa sbagliatissima, dal momento che il soccorso di pezzi di opposizione ha reso ininfluente la protesta degli azzurri - ed ecco perché anche al neo presidente della Camera Fontana della Lega sono mancati almeno 15 voti. Ora si pensa che Forza Italia potrebbe presentarsi da sola alle consultazioni del Capo dello Stato: se accadesse, sarebbe la dimostrazione palese che il centrodestra, uscito vincitore dalle urne, in realtà è talmente diviso da non riuscire nemmeno a presentarsi unito al Quirinale, come invece accadde nel 2018 quando a comandare era Salvini (e vi ricorderete la scenetta di fronte ai giornalisti con cui Berlusconi mimava la parte del suggeritore, con ciò ridicolizzando il capo leghista).

Berlusconi litiga ma non riesce a piegare la Meloni e così fa un piacere a Salvini che, dopo aver subito anche lui un «no» doloroso, quello sul Viminale, può ora riconquistare un ruolo nei confronti della leader sua alleata-concorrente al punto da ricevere più ministeri di quanto si aspettasse, al netto di Giancarlo Giorgetti che potrebbe diventare ministro dell’Economia pur non pesando sulla «quota» ministeriale della Lega. Inoltre Salvini può cantar vittoria proprio per l’elezione di Fontana, suo amico fedele, riconquistando la presidenza della Camera dopo i lontani anni della Pivetti.

Un punto da non sottovalutare: Berlusconi è esponente del Ppe e il suo vice Tajani, già presidente del Parlamento di Strasburgo, è molto stimato in Europa

C’è un punto da non sottovalutare: Berlusconi è esponente del Ppe e il suo vice Tajani, già presidente del Parlamento di Strasburgo, è molto stimato in Europa. Un governo di destra che nasce tra mille diffidenze e sospetti a Bruxelles, a Francoforte, a Parigi, ha bisogno della garanzia di Forza Italia: non la si può perdere a cuor leggero. È pur vero però che dentro il partito azzurro non tutti sono d’accordo sulla linea aggressiva del fondatore, anzi molti la attribuiscono ai consigli proprio di Ronzulli, e non è da escludere qualche altra uscita clamorosa al seguito del trio ministeriale Brunetta-Gelmini-Carfagna e di tanti altri meno famosi.

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