Paesi poveri, Draghi
e Von der Leyen per i vaccini

A Villa Doria Pamphilj, a Roma, i Paesi del G20 discutono di virus e pandemia e si ritrovano a fare una specie di esame di coscienza. Scoprono, si fa per dire, che finora a vaccinarsi sono stati quasi esclusivamente i cittadini dei Paesi ricchi. Il 90% delle dosi infatti è rimasto in questo recinto internazionale, il poco rimasto è andato in Africa, in America Latina, insomma nel Sud del mondo: una dose ogni 500 persone contro una ogni 4 in Occidente. Inoltre il G20 scopre che l’ambizioso programma «CoVax» destinato appunto a rendere il più possibile disponibile sul Pianeta la vaccinazione, viaggia a ritmi intollerabilmente lenti: «Quello che temevamo è accaduto - ha accusato il segretario generale dell’Onu Gutierres - e cioè una lotta al coronavirus a due velocità, quella di chi corre e quella di chi aspetta o, al massimo, arranca».

Merito della presidenza italiana del G20 e di Mario Draghi che la esercita, è di aver messo questa cruda realtà al centro del Global Health Summit in corso appunto a Roma e di aver ricordato a tutti ciò che purtroppo tutti sanno ma molti dimenticano, e cioè che nessuno, neanche i Paesi ricchi, saranno al sicuro dal virus fino a quando la vaccinazione non sarà diventata finalmente globale.

Il problema è, per esempio, che solo l’1% dei vaccini si produce in Africa. Si pone dunque il problema dei brevetti: l’Italia, per bocca di Draghi, si è detta favorevole alla sospensione dei brevetti per un periodo limitato e con obiettivi mirati, senza cioè danneggiare la spinta alla ricerca da parte delle grandi aziende farmaceutiche globali. Una posizione cauta che Ursula von der Leyen, nella conferenza stampa congiunta con Draghi, ha appoggiato. Nel frattempo però occorre intensificare gli aiuti ai Paesi terzi. E per questo l’Ue ha annunciato che entro il 2021 saranno distribuiti 100 milioni di dosi di vaccino ai Paesi a basso reddito e risorse pari a un miliardo di euro in tre anni. Sostegni massicci sono stati promessi anche dagli Stati Uniti e dalla Cina proprio mentre il presidente del Messico accusava i Paesi più ricchi di «essersi accaparrati» la maggior parte delle dosi ai danni delle sterminate periferie del mondo. Forse il presidente messicano ignora che un fenomeno analogo si è verificato in piccolo all’interno dell’Europa e tra le due sponde dell’Atlantico, con le dosi di vaccino dispensate col contagocce (per esempio all’Italia) fino a quando non è stato raggiunto un livello accettabile di immuni in Inghilterra e negli Stati Uniti. In ogni caso l’impegno preso a nome di tutti da Draghi e dalla presidente della Commissione Ue è stato preciso: bisogna vaccinare le moltitudini povere del mondo. E poi - su questo Kamala Harris a nome della Casa Bianca è stata molto netta - lo sforzo è quello di coordinare tutti i Paesi per rispondere in modo corale alle pandemia. Già, perché la previsione che è venuta dagli scienziati che hanno partecipato al pre-vertice dei capi di Stato e di governo, è che ci saranno da affrontare altre ondate pandemiche. Draghi lo ha detto chiaro e tondo: «Dobbiamo prepararci alla prossima pandemia». Motivo per il quale bisognerà rafforzare i sistemi sanitari pubblici (e in questo l’Italia, col suo Servizio sanitario nazionale, è molto più avanti di tanti altri Paesi, soprattutto anglosassoni) e rafforzare la collaborazione tra loro.

Su questo piano una proposta interessante è arrivata dal premier britannico Boris Johnson: creare una rete mondiale dei centri di sorveglianza, una specie di radar globale sui virus. Se ci fosse stato, al netto delle contraddizioni dell’Oms, forse le notizie dalla Cina sul Covid sarebbero arrivate con un ritardo meno scandaloso (e letale).

© RIPRODUZIONE RISERVATA