Pd diviso in Europa, la linea che non c’è

ITALIA. Ma Elly Schlein è in grado di decidere? Ormai il dubbio emerge chiaramente nelle chat dei deputati e persino in qualche felpata intervista di illustri sostenitori della segretaria come Romano Prodi o Dario Franceschini.

E la domanda si aggrava con quello che è accaduto ieri all’Europarlamento nel voto sulle armi in Ucraina in cui il gruppo del Pd si è mosso senza un’indicazione politica chiara da parte del vertice del partito e, naturalmente, ha finito per dividersi dopo aver cercato, con un po’ di tattica parlamentare, di salvare come si dice, capra e cavoli. I fatti.

Ieri a Strasburgo si votava il cosiddetto Asap (Act in support of ammunition production) che serve a finanziare per altri 500 milioni l’invio di munizioni all’Ucraina in guerra contro l’invasore russo anche utilizzando fondi del Pnrr o dei fondi di coesione. L’Asap mira ad accelerare il più possibile i tempi di produzione delle munizioni che stanno scarseggiando dopo più di un anno di guerra: gli arsenali europei sono andati in sofferenza e bisogna muoversi, dunque anche utilizzare soldi e risorse originariamente destinati a scopi sociali. Il voto di ieri è stato larghissimamente a favore della proposta (446 sì, 112 astenuti e 67 no). Tutto il gruppo socialista ha votato a favore ma gli italiani si sono distinti per le loro divisioni.

Il Pd in particolare non sapeva cosa fare: votare contro le armi all’Ucraina contraddice la linea fin qui tenuta e soprattutto provoca un discredito internazionale ad un partito tradizionalmente europeista e atlantista, dunque non si può. Però utilizzare i fondi del Pnrr non è cosa che piace: la Schlein ha scritto sui social di essere contraria. Come si fa? Si è pensato ad una strategia salva-faccia: il Pd ha presentato un emendamento che proibiva l’uso dei fondi del Next Generation Ue che, come tutti sapevano, non poteva che essere bocciato. Una volta che la posizione di principio era stata manifestata e messa da parte, il Pd si è acconciato a votare a favore. Un po’ di qua e un po’ di là, insomma, o come si sarebbe detto ai tempi di Walter Veltroni, un po’ a favore «ma anche» no. Solo che, al momento decisivo, il gruppo dei parlamentari piddini si è spaccato. Mentre i loro colleghi grillini e verdi andavano avanti sulla loro strada del no più risoluto ad armare gli ucraini in nome della logica pacifista, dei 16 democratici 12 erano con la maggioranza del Parlamento europeo e della casa madre socialista, 6 invece andavano per i fatti loro: il medico di Lampedusa Pietro Bartolo, il romano Massimiliano Smeriglio, l’ex magistrato Franco Roberti. Qualcuno si è defilato come l’ex sindaco di Milano Pisapia, non pervenuto. In ogni caso, favorevoli o contrari, tutti irritatissimi con una segretaria che non ha fatto arrivare a Strasburgo uno straccio di linea: contraria sui social all’uso del Pnrr, non ha però detto: votate contro. Ma nemmeno «votate a favore». Insomma, ha lasciato fare. E il risultato è stato il caos.

Dopo la brutta sconfitta subita alle elezioni amministrative, conclusasi con un trionfo del centrodestra e dei FdI, la parola che ormai gira sempre di più tra i democratici è «unfit». Elly insomma non sarebbe adeguata a fare la segretaria del partito: è vaga, confusa, non sa decidere, parla per slogan e perdipiù quegli slogan sono lontani anni luce dall’elettorato tradizionale della sinistra che ormai o si astiene o vota a destra. «Elly, devi parlare di lavoro, di scuola, di sanità», implorava l’altra sera Bersani in televisione. Ma lei aveva già prenotato una diretta Instagram tutta dedicata ai diritti civili.

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