Pd, le grane per Schlein dal fronte interno

ITALIA. «Cara Elly, così vai a sbattere; smettila con l’arroganza e ascolta qualche consiglio». Pierluigi Castagnetti, l’ex segretario del Ppi che ha un rapporto tanto stretto quanto riservato con Sergio Mattarella, scuote la testa e non rinuncia a dire la sua dopo la batosta che il Pd ha preso al referendum.

Come a tanti altri, non è piaciuta a Castagnetti l’idea di Schlein di saltare insieme a Conte e Fratoianni sul carro della Cgil di Landini (che inseguiva un obiettivo tutto suo, ormai mancato) in una riedizione altrettanto fallimentare della «gioiosa macchina da guerra» dei Progressisti di Achille Occhetto del ’94. Anche se a mezza bocca i fedelissimi della segretaria mormorano che «non si poteva fare niente di diverso», resta il fatto che a tutti è palese l’inconsistenza degli argomenti usati (per esempio da Francesco Boccia) per dire che quella referendaria non è stata una vera sconfitta ma una specie di «mezza vittoria» visto che i votanti sono stati quattordici milioni. Non solo il quorum è rimasto lontanissimo, ma al danno si è aggiunto la beffa di quella massa di «no» che persino gli elettori del Pd e della sinistra hanno detto alla cittadinanza più breve e facile per gli immigrati. Dunque una pagina da dimenticare e andare avanti. Ma come?

La strategia del Pd

Si dice che la segretaria voglia anticipare il congresso agli inizi del prossimo anno subito dopo la tornata delle regionali dalla cui campagna spera di raccogliere frutti copiosi. La mossa servirebbe a sbaragliare la minoranza dei riformisti che sono ancora privi di un vero leader riconosciuto e sono divisi dalle solite liti di corrente. L’ex candidato alla segreteria Bonaccini è considerato troppo arrendevole rispetto a Schlein con cui ha siglato una specie di patto di desistenza, e così a protestare contro l’«arroganza» del gruppo dirigente cui si riferisce Castagnetti per ora sono esponenti come Pina Picierno, Giorgio Gori o la politologa Gualmini (che potrebbe andarsene con Calenda) mentre esponenti più anziani come Guerini, Franceschini, Delrio si tengono cautamente a bordo campo.

I giochi tuttavia sembrano ormai fatti, e nessuno a via del Nazareno pensa sul serio di stringere nuovi patti con Matteo Renzi (contro cui si è fatto un referendum, non dimentichiamolo) e Carlo Calenda, e nemmeno con i riformisti interni

Quindi fare subito un congresso, magari dopo una vittoria elettorale, significherebbe chiudere una volta per tutte i conti con una minoranza divisa e quindi debole. Però una simile strategia non risolverebbe il problema: la radicalizzazione a sinistra che la Schlein persegue, convinta che sia l’unico modo per battere la destra, lascia completamente scoperto il campo dei moderati e del centro senza i quali la sinistra non ha mai vinto le elezioni. Ecco il «così si va a sbattere» di Castagnetti e non è del tutto improprio ipotizzare che così la pensi anche l’inquilino del Colle anche se mai un tale giudizio politico potrebbe essergli attribuito.

I giochi tuttavia sembrano ormai fatti, e nessuno a via del Nazareno pensa sul serio di stringere nuovi patti con Matteo Renzi (contro cui si è fatto un referendum, non dimentichiamolo) e Carlo Calenda, e nemmeno con i riformisti interni. Ma questo non vuol dire che il cammino della segretaria sia priva di inciampi. Delle speranze riposte nelle elezioni regionali si è detto ma all’orizzonte si vede una grossa grana: l’apertura di Giorgia Meloni al terzo mandato dei governatori regionali rimetterebbe in gioco un nemico acerrimo come Vincenzo de Luca in Campania e un non amico in Puglia come Michele Emiliano il quale ripete talmente tante volte di non voler restare in Regione che pochi ormai ci credono. Se Puglia e Campania fossero di nuovo conquistate dal Pd, sarebbero successi personali dei due vecchi feudatari, e non certo di Elly Schlein.

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