Pd e libertà, quel veto che ricorda tanto il Pci

ITALIA. Ultimamente la libertà di coscienza non va per la maggiore dentro il Partito democratico. E pensare che l’articolo uno (comma 8) del suo statuto, recita che il Pd «riconosce e rispetta il pluralismo delle opzioni culturali e delle posizioni politiche al suo interno come parte essenziale della sua vita democratica».

Nel caso della votazione della proposta di legge della Regione Veneto sul suicidio assistito però le cose sono andate diversamente. Come è noto, dietro il provvedimento affossato per un soffio il 17 gennaio scorso, appoggiato anche dal governatore Zaia, c’era una componente bipartisan. Sarebbe bastato che tutti i dieci consiglieri del Centrosinistra, alleato per l’occasione con una parte del Centrodestra, votassero in blocco e sarebbe passata. Ma una consigliera del Pd, l’avvocato veronese Anna Maria Bigon, di area cattolico democratica, si è astenuta, provocando l’ira dei vertici del partito.

La capogruppo regionale dem Vanessa Camani si è sfogata sui social parlando di «occasione mancata». Anche la segretaria nazionale Elly Schlein l’ha definita «una ferita». Furente anche il vicesegretario regionale, che ha sparato ad alzo zero su chi oppone la libertà di coscienza di fronte agli ordini di scuderia del partito. Solo mal di pancia? Macché.

Qualche ora dopo il segretario veronese Franco Bonfante ha sospeso Bigon dalla carica di vicesegretario, annunciando «ulteriori provvedimenti» nel direttivo del 5 febbraio, una sorta di processo pubblico in cui rischia – presumibilmente – la sospensione dal Pd. «Ciò che i nostri iscritti ed elettori ed io stesso non ti perdoniamo», scrive Bonfante nella mail di sospensione, «è il fatto che non hai ritenuto di adottare la scelta alternativa - uscire dall’aula - che ti avrebbe comunque permesso di conciliare la libertà di coscienza con il senso di responsabilità verso una larga comunità che ti ha eletto».

Peccato che se fosse uscita dall’aula il provvedimento certamente sarebbe passato. Tirarsi fuori sarebbe stata una scelta pilatesca. Il Pd le permetteva di essere ininfluente, di scendere al rango di testimonianza, di mettersi un bel pennacchio in fronte con la scritta «not in my name». Le concedeva insomma graziosamente la ciotola per lavarsi le mani, mentre il consigliere Bigon quella legge non voleva che passasse e astenersi equivaleva esattamente a questo (tra l’altro non le hanno nemmeno permesso che presentasse degli emendamenti). Ne aveva tutto il diritto per una lunga serie di ragioni molto condivisibili. La proposta di legge faceva passare il fine vita in cavalleria, senza tener conto delle cure palliative per l’alleviamento della sofferenza dei malati, di una commissione etica con relativi criteri di chi ne avrebbe potuto far parte, senza regolare tempi e modi del suicidio medicalmente assistito, senza affrontare la questione della maggiore età. Ma c’è un’altra seria motivazione alla base del comportamento dell’avvocato Bigon: una legge regionale non ha senso per una materia del genere, che affronta i diritti soggettivi inviolabili riguardanti un’intera nazione. In caso contrario determinerebbe leggi differenziate, del tipo in Veneto si può staccare la spina, in Molise no, in Lombardia si aspetta una settimana, in Lazio non è possibile mentre in Sicilia decide un comitato etico. Ci sarebbero delle «migrazioni» da una regione all’altra. Una follia costituzionale.

Ma tutto questo non è concepito dai vertici del Pd, in questa vicenda che nei contenuti riflette un’anima da partito radicale e nei modi – compreso il ferreo, leninista vincolo di mandato con tanto di processo e punizione annessa - ricorda l’apparato del vecchio Pci. Fortunatamente nella componente cattolica, erede della Margherita – una delle principali anime del Pd - stavolta c’è stata una levata di scudi, da Graziano Delrio a Silvia Costa, da Sergio Lepri al padre nobile del partito ed ex segretario del Partito popolare Castagnetti. Resta il fatto che la consigliera Bigon ha compiuto un gesto quasi eroico dentro il Pd, quando astenersi in nome della libertà di coscienza in casi del genere dovrebbe essere assolutamente normale.

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