Pensioni, la verità fra costi e demografia

Il commento. «Per loro grande fortuna - altrimenti la vita sarebbe intollerabile - gli uomini non possono prevedere il corso degli eventi nel lungo termine». Così nel 1940 parlò il premier inglese Winston Churchill, il più grande leader del mondo libero durante la Seconda guerra mondiale. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, lo ha citato la scorsa settimana, in audizione sulla manovra davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato.

A mo’ di «consolazione» - ha detto - per la «dura vita» che attende il responsabile di Via XX Settembre in una fase economica incerta e complicata come questa. La difficoltà di compiere previsioni valide per il lungo termine non ha impedito tuttavia allo stesso ministro, in questi giorni, di preannunciare agli italiani cosa può accadere nei prossimi anni a un tema di grande interesse per loro: il futuro delle pensioni.

Partiamo da una delle norme più discusse in materia di previdenza che è contenuta nella legge di bilancio approvata dal Governo e adesso all’esame della Camera: la disciplina per l’indicizzazione dei trattamenti pensionistici. Essa prevede tre scenari diversi. Per le pensioni minime, in aggiunta alla rivalutazione piena e automatica in rapporto all’inflazione, è previsto un incremento rispettivamente dell’1,5% e del 2,7% per le mensilità del 2023 e del 2024. Per i trattamenti previdenziali di importo fino a quattro volte quello minimo dell’Inps, cioè fino a circa 2.100 euro lordi al mese, è confermata invece la perequazione automatica al 100% della variazione dell’indice del costo della vita. Dai 2.100 euro in su, infine, l’adeguamento all’inflazione diventa progressivo e viene riconosciuta una perequazione in misura variabile da 80 a 35 punti percentuali (in luogo della forbice attualmente prevista che varia dal 90 al 75%).

Per avere un’idea dell’ordine di grandezza del problema che l’esecutivo si è trovato a fronteggiare in campo previdenziale, sono sufficienti alcuni dati. In un anno la spesa pubblica italiana ammonta a oltre 1.000 miliardi di euro; oltre 200 di questi miliardi sono costituiti dalla spesa per le pensioni. Il ministro dell’Economia, in un’altra audizione del 9 novembre sulla Nota di aggiornamento del Def, aveva fatto sapere che il meccanismo di indicizzazione all’inflazione, a legislazione vigente, avrebbe comportato un incremento della - già corposa - voce previdenziale di circa 50 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Con la stretta sulla rivalutazione proposta dall’esecutivo, l’andamento viene invece corretto di circa 10 miliardi nel triennio, ha spiegato il ministro la scorsa settimana parlando apertamente di «un intervento doloroso», necessario alla «quadratura del cerchio» di una legge di bilancio che intende tutelare il risparmio e non lasciare «scoperto» il fianco del nostro debito pubblico, soprattutto in una fase di rialzo dei tassi di interesse da parte delle Banche centrali.

Da Giorgetti è arrivata inoltre una seconda notazione in materia previdenziale: da subito, ha spiegato, «un miliardo e mezzo di questo “risparmio”, fra virgolette, sulla rivalutazione delle pensioni è stato messo sulla famiglia e sui figli. E questo è il primo importante passo per la vera riforma delle pensioni. Perché se noi non abbiamo più bambini che nascono - ha detto - non ci sarà nessun sistema previdenziale che si possa mantenere. La vera riforma delle pensioni equivale a fare una politica per la famiglia e per la natalità».

D’altronde, sulle pensioni, ben venga la «lingua sciolta» contro la solita «lingua di legno», perché discutere di previdenza senza fare i conti con le coperture contabili e con l’andamento demografico è quanto di più rischioso e irrespons

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