Previdenza la riforma
e le tante incertezze

Riforma annunciata. Riforma promessa. Ma sulle pensioni regna soprattutto l’incertezza. Si tratta non solo di una incertezza che riguarda il modo in cui verranno applicate le nuove direttive, ancora circondate da nebbia, ma coinvolge anche i punti di riferimento del sistema previdenziale per chi già ne usufruisce e per chi ne vorrebbe usufruire. Dopo i fiumi di parole spesi in campagna elettorale sono arrivati i nuovi provvedimenti ma i dubbi, invece che essere chiariti, stanno di giorno in giorno aumentando. La questione di queste ore è l’imminente approvazione del decreto che dovrebbe fare chiarezza sulla famosa quota 100 annunciata, senza alcun dettaglio se non la previsione di spesa, dalla legge di Bilancio.

Il decreto che sta per essere emanato, secondo le anticipazioni, stabilirà che i lavoratori che hanno raggiunto il 62° anno di età e che vantano 38 anni di contributi versati potranno usufruire in via sperimentale nel triennio 2019-2021 del pensionamento a partire da aprile (per i lavoratori privati) o dal prossimo primo luglio (per i dipendenti pubblici).Nascono subito due tipi di incertezze: il primo per il lavoratore e per i costi che l’adesione alla norma gli comporta, il secondo per il datore di lavoro. In questo secondo caso, come documenta un articolo di questo giornale in cronaca città, gli uffici pubblici potrebbero trovarsi in grande difficoltà visto che al momento non ci sono né disposizioni né tempo per procedere a nuove assunzioni sostitutive.

Per quel che riguarda il punto di vista del lavoratore invece l’incertezza riguarda il taglio dell’assegno previdenziale a cui va incontro. Secondo i calcoli degli uffici studi parlamentari esso potrebbe variare dal 5% (per chi usufruisce dell’anticipo avendo già superato i 65 anni di età) al 22% per chi volesse usufruirne già a 62 anni, percentuali calcolate sulla pensione percepita da chi lascerà invece il lavoro alla scadenza naturale. Un taglio considerevole che potrebbe far scendere di molto il numero di coloro che aderiranno all’offerta. Anche perché quota 100 è accompagnata dall’obbligo, fino al 67° anno di età, per chi ne usufruisce di non poter fare alcun lavoro oltre il compenso di 5.000 euro annui. Ma le incertezze riguardano anche altre due norme contenute nella legge di Bilancio approvata alla fine dello scorso dicembre. La prima è il blocco della rivalutazione dell’assegno pensionistico per chi in pensione c’è già. Si tratta di un provvedimento che di fatto rilancia e prolunga il taglio della rivalutazione, taglio introdotto dalla riforma Fornero.

Provvedimento, quello odierno, alquanto singolare se si considera che a prenderlo è un governo che in campagna elettorale aveva fatto della lotta alla Fornero il suo cavallo di battaglia. Ora invece si rilancia uno dei provvedimenti più criticati di quella riforma e, soprattutto, si fanno pagare in parte i costi delle nuove norme a chi in pensione c’è già. Il secondo provvedimento è il cosiddetto contributo di solidarietà a partire dal 15%, via via ad aumentare, per gli assegni superiori ai 100 mila euro lordi annui. Colpisce quindi la fascia agiata dei pensionati, ma a far discutere è il criterio che sgretola un diritto acquisito se non nella forma almeno nella filosofia visto che in origine il taglio si sarebbe voluto calcolare con un ricalcolo globale dell’assegno previdenziale. Chi assicura che, passata la logica, in futuro non si colpiscano con lo stesso criterio anche assegni più bassi? L’incertezza cioè va a colpire dei diritti acquisiti, in una logica dai dubbi contorni costituzionali.Che il tema previdenziale sarebbe stato al centro delle politiche di questo governo era arcinoto, ad essere sotto la lente sono le modalità e l’incertezza che creano.

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