Processi giusti
La risposta sbagliata

Non è uno qualsiasi e non ha nulla da perdere o da guadagnare dalle sue prese di posizione. L’ex pm Gherardo Colombo, 73 anni, boccia senza appello la legge Bonafede che annulla la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, riforma osteggiata dal Pd, entrata in vigore con il nuovo anno e approvata dai 5 Stelle (che ne hanno fatta una bandiera ideologica) ma anche dalla Lega, col primo governo Conte. Colombo ha argomentato la sua contrarietà in un’intervista a «Il Foglio». Giudice istruttore al processo alla P2, delle indagini su Michele Sindona e l’omicidio Ambrosoli, pubblico ministero di Mani Pulite, oggi dedica il suo tempo a far conoscere la Costituzione nelle scuole e a una giustizia più giusta, anche dal punto di vista dell’ordinamento penitenziario.

Quella di Colombo è una visione d’insieme, logica e libera, supportata dai fatti. «Vorrei che una cosa fosse chiara: se la misura rispondesse esclusivamente a un desiderio di retribuire sempre - dice - e comunque una trasgressione con la pena, il discorso sarebbe logico. Io non lo condivido, ma sarebbe logico: hai peccato – la retribuzione sta in quegli ambiti – per te non c’è oblio, non c’è possibilità di recupero, non c’è futuro se non dopo (meglio, nemmeno dopo) che paghi il tuo peccato. Ecco. Questo avrebbe un senso, anche se io non lo condivido perché ritengo sia ingiusto non considerare l’influenza del passaggio del tempo sulle esigenze di punizione. Di sicuro però non si può motivare l’abolizione della prescrizione con la volontà di rendere più rapido il processo penale».

Vanno tenuti separati gli argomenti, da una parte la prescrizione, dall’altra la ragionevole durata del processo prevista dalla Costituzione. Se l’obiettivo è quest’ultimo, bisogna pensare a strumenti che lo rendano effettivamente tale. Cominciando dalla depenalizzazione. «Liberiamo i tribunali penali - osserva l’ex pm - diventati il luogo dove precipitano tutti i conflitti e le tensioni anche insignificanti di questo Paese. Se vogliamo che il processo penale sia rapido, occorre che ci siano poche cose da processare. Quelle importanti. Il diritto penale va riportato a quello che dovrebbe essere: l’extrema ratio». Quando Colombo fece il concorso per entrare in magistratura, all’inizio anni ’70, quel diritto era condensato quasi tutto nel Codice penale: poco più di 700 articoli. E interveniva soltanto di fronte a trasgressioni importanti, che mettevano seriamente in dubbio il rapporto di fiducia che tiene insieme la comunità. Il resto si regolava in altre vie. «Il punto è questo: non tutto può essere reato. Mentre oggi in Italia la tendenza - spiega l’ex magistrato - è quella di far diventare reato qualsiasi violazione. E così a quelle vecchie se ne aggiungono sempre più di nuove, con l’ovvio risultato di intasare la macchina della giustizia». Tra quelle vecchie un caso è incredibile: se si cancella la vidimazione di un biglietto dell’autobus, scatta la denuncia penale per falso, che intasa la macchina della giustizia per una questione che a Milano oggi vale due euro.

Il populismo penale della legislazione infinita porta anche ad intasare le carceri (oggi ci sono 12 mila detenuti in più dei posti disponibili) anche di persone colpevoli di reati di lieve entità. Per non parlare dei tossicodipendenti o dei malati psichiatrici che dovrebbe soggiornare non in una cella ma in comunità terapeutiche. «Oltre a depenalizzare - ragiona ancora Colombo - e quindi a trovare soluzioni in ambito civile o amministrativo, si ricorra a strumenti che evitino il protrarsi delle indagini o la celebrazione del dibattimento. Si incentivi la messa alla prova, il patteggiamento, il giudizio abbreviato. Si pensi a introdurre pratiche di giustizia riparativa, che esistono da anni in molti altri Paesi».

E poi va dato all’amministrazione della giustizia ciò che serve per funzionare. Ad esempio ci sono 251 magistrati, vincitori di concorso, che dal 24 luglio 2019 attendono di poter iniziare, come da legge, il tirocinio di un anno e mezzo. Lo stesso ministero della Giustizia non firma il decreto di nomina ed è ignoto il perché.

Ma che rilievo ha oggi la prescrizione in Italia? Salvo casi eccezionali, che pure si verificano, soltanto per reati di lieve entità. Spesso quelli per i quali non si dovrebbe nemmeno tenere un processo. Già ora i reati punibili con l’ergastolo non si prescrivono mai. Per gli altri, il termine di prescrizione è commisurato al massimo della pena prevista per quel reato. Per esempio un omicidio senza aggravanti, per il quale il massimo della pena è di 24 anni, la prescrizione è di 24 anni dalla data della sua commissione, più un quarto in caso di interruzione: nel complesso 30 anni.

Termini molto consistenti valgono anche per il sequestro di persona a scopo di estorsione (addirittura 37 anni e mezzo), per la rapina aggravata (25 anni), la violenza sessuale (15 anni), il furto pluriaggravato (12 anni e sei mesi). Insomma, «per i reati che destano clamore sociale - chiosa l’ex pm di Mani Pulite - le pene sono elevate e il termine di prescrizione è lungo al punto che è raro che gli stessi si prescrivano». Nella prescrizione non sperano nemmeno più gli autori di reati di corruzione, perché le pene massime, a seconda dei tipi di corruzione, variano dagli 8 ai 20 anni. Per una giustizia giusta serve altro.

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