Programma ambiguo
ma ritorna l’Europa

Alla fine, i punti del programma del Conte 2 sono diventati 29, rimpolpati rispetto all’imbarazzante nulla del documento votato dagli iscritti Rousseau, ma le vaghezze e le mezze verità restano tante. È però una forzatura definirlo di ultrasinistra o del Sud contro il Nord. Se mai è ambiguo. Si promettono tagli Irpef e del costo del lavoro e tante spese encomiabili (ricerca, disabili, scuola, dissesto), ma non si dice con quali risorse. C’è il salario minimo, ma per fortuna è quello dei contratti sindacali. Il testo è scritto in politichese, con equilibrismi e rinvii. A leggere una mezza riga si potrebbe persino ipotizzare il sì allo ius soli, tanto per fare un esempio.

C’è solo un terreno in cui i contraenti sembrano rilassarsi, abbandonando il cammino sulle uova, ed è l’ambiente, usando un inglesismo come al solito d’imitazione: «green new deal». È la parte più ricca di spunti del programma, mentre la migliore è forse quella sulla digitalizzazione spinta (che comprende anche il recupero integrale del 4.0, dissennatamente bloccato un anno fa). Ma anche qui, attenti alle interpretazioni e alle bugie da conferenza stampa. Secondo Di Maio si è deciso di chiudere trivelle e inceneritori, ma - nel testo - le trivelle sono solo quelle future, e gli inceneritori saranno resi inutili dall’incremento del riciclaggio, cioè dai termovalorizzatori, l’altro nome degli inceneritori… La discontinuità davvero emergente riguarda Europa e Nato, e per qualcuno potrebbe anche essere sufficiente, perché la scelta europea davvero comprende tutto. Un anno fa si disquisiva sui «cigni neri» di Savona, alternativi alla «trappola» europea. Oggi, il programma addirittura esagera, e parla di due «pilastri» con un linguaggio quasi antico. Ci sono naturalmente le litanie sulle flessibilità e il dover stare «più vicini ai cittadini» eccetera, ma insomma «Italy is back». Bentornati a casa.

Navigando tra i 29 punti, oltre ad una serie di banalità (lotta all’evasione fiscale con tanto di manette, e alle mafie, che non manca mai) si trovano ombre, omissioni, amenità e ipocrisie. È sparito il riferimento a Roma «da rendere più attraente», ma c’è il freno alla produzioni di armi contro le «popolazioni civili» (solo armi intelligenti?). Le infrastrutture, da crescita infelice diventano «beni pubblici», e le concessioni non sono più revocate, ma revisionate (ovvio). È confortante che si parli di snellimento dei tempi e delle procedure della Giustizia, ma il ministro incaricato è quello che ha già abolito la prescrizione in nome di una pulsione giustizialista che lascia l’imputato alla mercè di tempi biblici. E i temi più importanti? La manovra, l’immigrazione, l’autonomia regionale? Sulle due battaglie leghiste, conterà certo il ruolo di un pugliese per le Regioni e di un prefetto per i migranti. Come sui decreti sicurezza le interpretazioni sono però ancora aperte, fermo restando il minimo sindacale: le osservazioni di Mattarella.

Quanto alla manovra, l’impressione è che Gualtieri dovrà rifare i conti, visto che il debito salirà di un punto per il buco sulle privatizzazioni (18 miliardi preventivati, zero a consuntivo). Certo non potrà farne altro, tanto meno per spesa corrente. Ma qui si va nell’ignoto. Forse una mano a Conte 2 la daranno gli eccessi di Conte 1. Se lo spread, cresciuto fino a costare 61 miliardi di interessi 2019, scende ancora, pagheremo in un paio di anni 41 e forse persino 31. Insieme al flop delle bandiere gialloverdi, grasso che cola. Dimenticavamo. Le uniche parole abbastanza chiare del programma sono sul taglio dei parlamentari. È la priorità che il mondo ci invidia.

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