Proiettili a Francesco
il Pontefice scomodo

Verrebbe solo da esclamare «poveri noi!» di fronte alla notizia dei tre proiettili contenuti in una busta indirizzata al Papa e intercettata dai carabinieri. È il gesto di un matto sembra già noto alla forze dell’ordine italiane e alla Gendarmeria vaticana, che li avrebbe accompagnato con un biglietto un po’ delirante sugli ultimi pasticci economici vaticani, per altro all’attenzione dei giudici con un maxi-processo già avviato proprio pochi giorni fa. Bergoglio non corre pericolo, va detto subito. Eppure il gesto, circoscritto e estremo, irrazionale e insensato, può essere il segnale di un conflitto che cresce potente attorno a quelle che finora sono solo manifestazioni di disagio da parte di gruppi e singoli che contestano un pontefice scomodo per quello che dice e per come agisce.

I tre proiettili, abbastanza innocui, pallini di fucile facilmente reperibili, sono un dettaglio, che tuttavia preoccupano e rischiano l’emulazione. Papa Francesco dà fastidio a molti, quando analizza per esempio la complessa situazione dell’economia mondiale o quando si sofferma sulle cause dell’immigrazione e sulle pesanti sfide politiche che ad essa sono collegate ad ogni latitudine e dunque non solo in Italia. Voci diverse e soprattutto discordanti hanno accompagnato il dibattito fin qui, a volte con toni sguaiati.

Ma se tutto rimane nel perimetro del discorso pubblico, perfino quando le argomentazioni si strutturano per contrapposizione, la cosa è buona e giusta per definizione. Se avviene il contrario e si scivola pericolosamente in un gioco a somma zero dove ognuno mette in mora l’altro, la faccenda si complica. Non conosciamo la lucidità dell’autore del gesto, né il suo grado di frustrazione, né sappiamo della sua conoscenza dei fatti a cui si riferisce disinvoltamente nel biglietto. Ma sappiamo che oggi le polemiche e la cacofonia sguaiata di interessi contrapposti nella Chiesa riguardo non solo alle finanze vaticane ma ad una molteplicità di domande urgenti, probabilmente irrevocabili e sicuramente drammatiche sul senso del Vangelo nella storia di oggi e sulla strategia pastorale per andare alla ricerca della centesima pecora, cioè quella che sta fuori dal cosiddetto recinto dei giusti, stanno provocando esasperazioni che vanno ad di là del semplice esercizio della dialettica. Tutto viene letto per contrapposizione e si fatica a ragionare in termini di comunità di destino. Da una parte ci sono i puri, i giusti i giusti, i buoni dall’altra tutto il contrario.

Ogni ragionamento procede per visioni corporative, con tendenze che disgregano invece di cercare unità. L’esasperazione del dibattito sul pontificato di Francesco negli Stati Uniti è la prova della incapacità strutturale anche dentro la Chiesa di impegnarsi per individuare priorità condivise e significative per il nostro tempo. Quando si arriva ad intensificare ad un così alto grado risentimenti e rabbia e si fa della circostanza un fatto normale, non c’è da stupirsi se qualcuno meno attrezzato culturalmente e più incline ad analisi catastrofiche e confusionarie, per dire la sua infila tre proiettili in una busta.

Potremmo alla fine sorridere e bollare la situazione come un gesto che si commenta da solo. Invece no, perché quel gesto interroga tutti, nella sua cupa e abissale irrazionalità. C’è una responsabilità collettiva da esercitare da parte di coloro che per ruolo e professione devono illuminare, spiegare e smussare i dibattiti che procedono per contrapposizione, alimentate dal carburante social. Non si tratta infatti di piccole discrepanze. Oggi l’accumularsi veloce e incontrollabile di falsità e arroganze sta diventando una minaccia poderosa per la comunità e quei tre proiettili un acuto campanello d’allarme.

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