Quando il sindacato si rimette in discussione

La guerra alle porte dell’Europa scuote le coscienze e allo stesso tempo insinua nuove incertezze nei lavoratori del nostro Paese. Il conflitto e le sue ricadute hanno rallentato una ripresa economica che pareva destinata a rimarginare, già entro questa primavera, le ferite inferte dalla pandemia da Covid-19.

Così a temi irrisolti da tempo, come il basso tasso di occupazione nel nostro Paese o i troppi dualismi del nostro mercato del lavoro (garantiti e non, dipendenti e non, uomini e donne, eccetera), o la sicurezza dei lavoratori stessi, si aggiungono ora sfide che – peccando d’ottimismo - pensavamo relegate allo scorso secolo: un’inflazione apparentemente indomabile, per esempio, e il suo impatto sul potere d’acquisto. Soprattutto per i sindacati italiani, si tratta di sfide che devono far tremare le vene ai polsi e che non potranno essere affrontare senza rimettere in discussione e innovare anche il proprio ruolo di rappresentanti dei lavoratori.

Un primo e originale tentativo in tal senso lo ha fatto nei giorni scorsi la Cgil di Bergamo, con una iniziativa di «ascolto» di per sé lodabile, perché allargata ben al di là del classico bacino dei propri iscritti, attraverso un’indagine demoscopica curata da Ipsos. I risultati di questo sondaggio sono «a volte crudi e sorprendenti», per citare Gianni Peracchi, segretario generale della Cgil della nostra provincia. Vediamo perché. Quasi un italiano su cinque (22%) cita il sindacato tra gli attori «fondamentali per il corretto funzionamento della democrazia», dietro «una magistratura indipendente», «organi di stampa liberi» e «università».

Tuttavia, quando si passa dalla teoria alla prassi, per i sindacalisti italiani c’è ben poco da celebrare. Soltanto il 38% degli intervistati, tanto per cominciare, dice di avere molta o discreta fiducia degli attuali sindacati italiani.

Tuttavia, quando si passa dalla teoria alla prassi, per i sindacalisti italiani c’è ben poco da celebrare. Soltanto il 38% degli intervistati, tanto per cominciare, dice di avere molta o discreta fiducia degli attuali sindacati italiani. La maggioranza nutre invece «poca» o «insufficiente» fiducia. La Confindustria, associazione che rappresenta i datori di lavoro e che si siede quasi sempre al lato opposto del tavolo di contrattazione rispetto ai sindacati, riscuote la fiducia di una parte sensibilmente più ampia della popolazione (47%).

Perché i rappresentanti dei lavoratori non convincono più un numero così cospicuo di italiani? Rispondere soltanto sulla base di un sondaggio non sarebbe corretto, eppure dalle risposte registrate emerge almeno un indizio che riguarda il rapporto tra sindacato e politica. Per il 38% degli intervistati da Ipsos su mandato della Cgil, per esempio, il compito principale dei sindacati dovrebbe essere quello di «vigilare sul rispetto delle leggi a tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro», per il 33% quello di «mediare tra le decisioni del governo e le esigenze e gli interessi dei lavoratori».

Soltanto il 10% degli italiani crede che il sindacato debba innanzitutto «partecipare al dibattito politico prendendo posizione sui diversi temi di attualità». A una domanda specifica sulla partecipazione dei sindacati alla politica, un italiano su cinque (20%) risponde dicendo di non essersi fatto un’idea precisa, e addirittura più di uno su due (il 55%) ritiene che «il sindacato dovrebbe occuparsi solamente di questioni che riguardano il mondo del lavoro da vicino». Se il sindacato si politicizza troppo - è la spiegazione offerta subito dopo - diventa «meno credibile ed efficace». Si tratterà pure di risposte inattese, secondo qualcuno, ma certo per i sindacati esse forniscono indicazioni utili per adeguarsi ai tempi che viviamo.

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