Quirinale, l’elezione
è una gara di debolezze

Nella corsa al Quirinale i partiti sono pericolosamente vicini al caos. Oggi la quinta votazione con il quorum della maggioranza assoluta certificherà che l’agognato «nome condiviso» ancora non c’è. Come non c’è un accordo sul metodo. E soprattutto non c’è nessun leader che abbia la forza di imporsi come regista. Ci sta provando Matteo Salvini (che scalpitava quando tutto era bloccato dall’autocandidatura di Berlusconi) ma con risultati al momento assai modesti. Alla ricerca di un nome condiviso si è visto bruciare prima i tre (finti) nomi della rosa – Nordio, Moratti, Pera - poi quello della presidente Casellati e adesso anche Frattini ha subito il niet del centrosinistra. Non sapendo cos’ altro fare, il capo leghista sventola i ritratti dell’ambasciatrice Belloni, del professor Cassese (86 anni) e da ultimo anche di un altro ambasciatore, il predecessore della Belloni ai servizi segreti Massolo, oggi presidente di Fincantieri.

Non trovando un accordo con la Meloni, ieri Salvini ha chiesto che il centrodestra si astenesse dal voto: ci sono stati 441 astenuti, col risultato che adesso si sa con certezza che Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia non sono per nulla vicini alla maggioranza assoluta e quindi devono trattare e trovare un accordo. Sullo sfondo continuano ad aleggiare i nomi di Casini (che non piace a Salvini «perché di sinistra») mentre dall’altra parte resta sempre la carta di Giuliano Amato che peraltro sta per diventare presidente della Corte Costituzionale. A questa indecisione tattica dell’avversario, il centrosinistra non sembra riuscire a proporre qualcosa di diverso, anche perché i 5 Stelle sono sostanzialmente fuori controllo.

Conte ha il suo pacchetto di voti, Di Maio il suo, poi ci sono i fedeli a Grillo e infine un mare di cani sciolti, tutti terrorizzati che questo gioco pericoloso porti alla fine anticipata della legislatura e alla decimazione delle liste elettorali del M5S. Quanto a Letta, ha i suoi problemi a prendere un’iniziativa che accontenti tutti i numerosi capi corrente del suo partito. In questa gara di debolezze a confronto, lentamente ma inesorabilmente si sta scivolando verso una situazione ingestibile che potrebbe portare solo ad una soluzione di emergenza. La principale, se non fosse per l’assoluta indisponibilità dell’interessato, sarebbe rieleggere Mattarella. Non è un caso che il capo dello Stato uscente abbia ricevuto 39 voti alla terza votazione, 125 alla quarta e 166 ieri, alla quinta.

Se oggi supererà i 200 voti i partiti dovranno cominciare a prendere atto che una parte dei grandi elettori non li segue più e sta cercando da solo una via d’uscita da questo pantano. A meno che l’emergenza stessa non torni a privilegiare la soluzione Draghi. Il quale, come è calato dall’alto a risolvere il problema del governo quando i partiti non erano in grado di metterne in piedi uno tutto loro, così potrebbe di nuovo arrivare e salire al Quirinale come unica soluzione «super partes»: non è forse il capo del governo che tutti i partiti tranne uno sostengono? E poi, a proposito di quell’unico partito, che poi è Fratelli d’Italia, non ha forse detto Meloni che il suo candidato preferito sarebbe proprio Draghi? Mentre nei talk show i giornalisti si arrovellano e battono l’acqua alla ricerca di un filo conduttore che non c’è, lo spread torna a salire (siano a quota 150, come nel 2020), la Borsa va male, in Europa sono con gli occhi puntati su di noi, e pare che anche gli americani - nel pieno della tensione con la Russia - siano un poco preoccupati per quello che ci sta capitando. Questa mattina i capigruppo decideranno di tenere due votazioni al giorno per cercare di abbreviare i tempi di questo spettacolo «indecoroso» come l’ha definito Renzi. Il quale può sempre vantare che quando aveva 400 voti, e non 40 come ora, lui un presidente lo fece eleggere al quarto scrutinio con 665 voti, e si chiama Mattarella.

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