Reddito di cittadinanza: è arrivato il momento di fare un «tagliando»

Sostegno alla politica dei redditi, misura del Welfare sociale per uscire dalle ristrettezze o semplice assistenzialismo? Il reddito di cittadinanza, provvedimento bandiera dei Cinque Stelle, non cessa di suscitare polemiche. Si tratta di una misura che coinvolge oltre 2 milioni e 600mila italiani, con un importo medio erogato di 561 euro, come rileva l’Osservatorio messo in piedi dall’Inps per monitorare questa forma di sostegno. E che mette in gioco, al grido di «abbiamo abolito la povertà», notevoli risorse pubbliche.

L’Inps ci dice anche che la maggior parte dei percettori è al Sud (il dato spiega l’exploit dei 5 Stelle nel Mezzogiorno alle politiche del 2018). Il 43 per cento dei percettori del sussidio è composto da single, con un importo medio di 457 euro. Mentre le (poche) famiglie numerose, con cinque persone, arrivano a 740 euro. L’iniquità, come si vede, è palese. L’Italia non è un Paese per le famiglie, dal punto di vista del fisco e dei sussidi sociali conviene sempre rimanere single, con buona pace del futuro demografico del Paese.

Ma le criticità non si fermano qui. Ci si chiede qual è stato l’effetto di questa misura, al di là della pura sussistenza. Secondo i suoi propugnatori il fine dichiarato del sussidio doveva essere un ponte (soprattutto per i giovani) per accedere al mondo del lavoro, attraverso il raccordo con la riforma dei Centri per l’impiego e gli ormai famosi «navigator», i cosiddetti «facilitatori», coloro che dovevano fare da cinghia di trasmissione con le imprese e attrezzare i redditieri per entrare nel mercato. In realtà nulla di tutto questo è accaduto perché il lavoro non si crea con i Centri per l’impiego ma con la crescita economica prodotta dal mondo delle imprese e dei servizi, come sanno anche i bambini. Tra l’altro persino i navigator sono sull’orlo del licenziamento e vanno avanti a proroghe, suscitando le ire degli amministratori di centrodestra. Ora c’è persino un partito, Italia viva di Matteo Renzi, che promuove una raccolta di firme per la sua abolizione. Forse bisognerebbe fare qualche distinzione. Un contro è il reddito di inclusione (messo in piedi da una rete di associazioni, anche di orientamento cristiano), che fornisce un reddito a chi non può lavorare ma merita egualmente di vivere una vita dignitosa e un’altra il reddito di cittadinanza (che lo ha inglobato), che invece rischia di rivelarsi una misura puramente assistenziale se non è legata a politiche concrete di occupazione. Ed è quello che purtroppo sta succedendo.

Oltretutto vi è un effetto non indifferente su tutta l’economia dei lavoratori stagionali, poiché il reddito di cittadinanza li disincentiva. L’offerta di lavoro per camerieri, ristoratori, bagnini, personale d’albergo e baristi è immensa, ma quest’anno non si trova nessuno poiché lo stipendio offerto è poco più alto del «dolce far niente» (o quasi, in alcuni Comuni è mascherato da qualche lavoretto sociale un paio di volte alla settimana) del reddito di cittadinanza. Si potrebbe rispondere che in molti casi basterebbe alzare i salari offerti, spesso vergognosi (anche 600 euro al mese) ma il quadro macroeconomico generale resta drammatico. Inoltre molti ne approfittano per continuare a percepire il reddito lavorando in nero. Insomma, è venuto il momento di fare un «tagliando» a questo provvedimento, che anziché alleggerire le difficoltà economiche di tanti, rischia di incrementare il ristagno sociale della disoccupazione giovanile e di diventare un gigantesco boomerang per la ripresa.

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