Regno Unito, ha vinto
la voglia di certezze

Certe delusioni non si dimenticano, e gli exit poll ne hanno rifilate parecchie. Quelli inglesi non fanno eccezione: molto vicini all’esito finale nel 2017 (predissero che i Conservatori avrebbero mancato la maggioranza per 12 seggi, e fu per 4), molto lontani nel 2015 (nessuna maggioranza ai Conservatori, dissero i sondaggisti, e invece quelli l’ottennero), perfetti nel 2010. Vanno quindi prese con una certa prudenza le proiezioni pubblicate nella notte di ieri, subito dopo la chiusura dei seggi alle 23 ora italiana, che davano ai Conservatori una stratosferica maggioranza con 368 seggi sui 650 totali del Parlamento, davanti a un Partito laburista in crollo verticale (191 seggi, contro i 262 del 2017), a un Partito nazionale scozzese di nuovo in crescita e ai Liberal-democratici stabili sulle loro posizioni.

Prudenza motivata anche da altre ragioni: per i Conservatori sarebbe il miglior risultato degli ultimi quarant’anni, e per i Laburisti il peggiore. Anche mettendo insieme tutte le opposizioni, i Conservatori godrebbero comunque di un vantaggio di quasi 90 seggi.

La conta finale, con ogni probabilità, darà una dimensione più realistica al risultato, anche se in piena notte sembrava già cominciata, tra i laburisti, la resa dei conti sulla leadership di Jeremy Corbin. Nel Regno Unito ottiene il seggio il candidato che prende anche un solo voto più dell’avversario, come se si trattasse di 650 elezioni locali a maggioranza semplice, il che rende più complicate le previsioni su scala nazionale. È comunque inevitabile una considerazione: Boris Johnson, il primo ministro che così poco piace al resto d’Europa, ha vinto la sua scommessa. L’ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri è riuscito a trasformare questa elezione (a cui ha partecipato un numero record di elettori giovani) nel famoso «secondo referendum» sulla Brexit, dimostrando quanto poco accurata fosse la lettura di un Paese che aveva cambiato idea rispetto al referendum del 2016, quello appunto che aveva certificato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Nello stesso tempo, Johnson è riuscito a presentarsi come l’unico a volere davvero la Brexit e a sapere davvero come arrivarci. L’uomo che sa mostrare la faccia feroce alla Ue ma nello stesso tempo ha le idee per accontentarla e arrivare allo scopo. Come l’accordo raggiunto con Bruxelles e poi bocciato dal Parlamento avrebbe dimostrato. Vero o falso che sia, è questo il messaggio arrivato agli elettori inglesi. Corbin ha capito la trappola e si è reso conto che discutere di Brexit, per lui che in tre anni ha cambiato in proposito ogni possibile idea, sarebbe stato inutile o dannoso. Così ha puntato sul welfare, sull’allargamento del Sistema sanitario nazionale. Temi importanti ma meno «affascinanti» della Brexit.

Perché il motore di questo voto è stato il desiderio degli inglesi di uscire da un’incertezza durata ormai tre anni, periodo in cui ogni giorno sono stati bombardati da previsioni euforiche o catastrofiche, da annunci di inedite prosperità o di disgrazie senza pari. Johnson è parso l’unico capace di tirar fuori il Paese dal pantano politico in cui sembrava sprofondato. E non a caso, pochi minuti dopo la pubblicazione degli exit poll, la sterlina già si apprezzava sul dollaro. Segno che anche gli ambienti finanziari, forse i più scettici in assoluto sulla Brexit, erano ormai indisponibili a prolungare una stasi che ha divorato risorse economiche ed energie politiche degne di una sorte migliore

© RIPRODUZIONE RISERVATA