Restituire dignità alla politica e all’aula

ITALIA. Ha suscitato molte polemiche il gesto di Piero Fassino, che intervenendo nell’aula della Camera il 2 agosto scorso ha mostrato il cedolino del suo stipendio di luglio di 4.718 euro netti dichiarando che «si tratta certamente di una buona indennità ma non è certamente uno stipendio d’oro».

La segretaria del suo partito Elly Schlein ha tenuto subito a precisare che «Fassino ha parlato a titolo personale». Pressato dalla stampa, egli stesso ha ammesso che il gesto è stato senza dubbio ingenuo, ed è effettivamente così, trattandosi di un politico di lungo corso che si è distinto per operosità e saggezza e che gode della stima di molti antagonisti politici. Fassino ha certamente sbagliato il momento e il modo - considerando che viviamo una fase in cui molti italiani per ragioni economiche e condizioni sociali faticano ad arrivare alla fine del mese - ma ha sollevato un problema vero che merita qualche riflessione. Come ha scritto sul Corriere della Sera il politologo Angelo Panebianco, col suo gesto Fassino ha voluto ricordare la dignità del Parlamento, le sue funzioni e il suo ruolo e ha voluto anche evidenziare che per avere parlamentari autonomi, preparati sul piano professionale e in grado di assicurare un costante impegno è fondamentale che siano adeguatamente retribuiti.

Alle argomentazioni di Panebianco, che ha cercato di entrare nel merito della vicenda sforzandosi di darne una sua puntuale valutazione, si è contrapposto il diffuso e consueto «populismo delle reazioni» che caratterizza da tempo gran parte della stampa e dei media. Si coglie quasi con piacere ogni occasione che fa emergere errori o inadeguatezze di esponenti politici per fare di tutta l’erba un fascio e per alimentare discredito sull’intera classe politica e sulle Istituzioni, ignorando che entrambe garantiscono, anche se non sempre in modo esemplare, il funzionamento di uno Stato di diritto. Questa situazione ha origini ben individuabili. Come dimenticare «l’uno vale uno» di Beppe Grillo che ha dato slancio all’idea assai improbabile di una «democrazia diretta» nella quale tutti possono fare tutto a prescindere dalle competenze, a cominciare dalla politica. E come non ricordare le ricorrenti campagne «anti casta» che hanno dato anima a un diffuso populismo di destra e di sinistra. Di matrice populista appare anche la proposta di riforma costituzionale di tipo presidenziale annunciata da Giorgia Meloni, che promette un coinvolgimento diretto dei cittadini nei processi decisionali, sottacendo i necessari pesi e contrappesi, tanto cari ai nostri Padri Costituenti.

Sarebbe stato certamente più opportuno che la premier - proprio perché ha in più occasioni affermato di voler governare «in nome del popolo» - avesse scelto d’impegnarsi dall’inizio del suo mandato per realizzare una nuova legge elettorale che fosse in grado di consentire ai cittadini di scegliere davvero chi li debba rappresentare. Questa nuova legge dovrebbe essere affiancata da un’altra che, nell’intento di realizzare uno scenario politico il più possibile trasparente, prevedesse il finanziamento pubblico dei partiti. Non c’è niente di scandaloso in questa proposta. L’ha condivisa recentemente perfino il senatore Patuanelli, uno dei massimi esponenti del Movimento 5 Stelle, che con i suoi solidali si era impegnato in passato ad «aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno». Non portare avanti queste iniziative legislative comporterà di dover lasciare la politica solo in mano a chi dispone di adeguati mezzi finanziari o, ancor peggio, in mano a chi è più abile a trovare finanziamenti attraverso vie poco trasparenti e molto spesso illecite.

Anni di ruberie, privilegi, abusi e diffusa corruzione, non sollecitamente e decisamente combattuti, hanno allontanato la maggioranza dei cittadini dalla politica e alimentato una deleteria demagogia che ha prodotto generalizzazioni pericolose e semplificazioni ingiuste. Occorre fare in modo che il gioco democratico si fondi su imprescindibili regole e delicati ingranaggi e che a condurre questo gioco siano persone esemplari sul piano morale e professionale scelte dal popolo.

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