Rialzo prezzi, famiglie in ansia per il futuro

L’editoriale Che l’inflazione sia «la più iniqua delle tasse», come diceva Luigi Einaudi, è ormai diventata convinzione diffusa in Italia, seppure con un discreto ritardo rispetto agli anni in cui lo intuì l’economista liberale.

Non stupisce quindi che oggi il tema del rialzo dei prezzi sia in cima all’agenda del confronto pubblico in materia economica, oltre che un argomento decisamente sentito dall’opinione pubblica. D’altronde veniamo da un lungo periodo in cui l’inflazione non era più un problema, al massimo ci preoccupavamo del suo opposto: la deflazione. È questo il motivo - oltre a una produttività stagnante – per cui in Italia la crescita delle retribuzioni è stata decisamente moderata; nel 2021 i minimi stabiliti dai contratti nazionali nel settore privato sono saliti dello 0,9% (dello 0,6%, includendo il settore agricolo). Il primo trimestre 2022 non ha invertito la rotta, anche perché gli accordi siglati negli scorsi mesi hanno preceduto la più recente fiammata inflazionistica.

A maggio però – secondo gli ultimi dati Istat - i prezzi in Italia sono aumentati a ritmi ben maggiori, del 6,9 per cento addirittura, come non accadeva dal 1986

A maggio però – secondo gli ultimi dati Istat - i prezzi in Italia sono aumentati a ritmi ben maggiori, del 6,9 per cento addirittura, come non accadeva dal 1986, e così milioni di italiani guardando la propria busta paga o la propria pensione non fanno che interrogarsi: se il mio stipendio rimane sostanzialmente fermo, mentre il costo del carrello della spesa o del pieno di benzina sale sulle montagne russe, non potrò forse permettermi sempre meno acquisti in futuro? Domanda non peregrina, che le famiglie peraltro hanno cominciato a porsi non da ieri, visto che la loro spesa è in frenata già dalla seconda metà dello scorso anno, quando la crescita galoppava ma all’orizzonte si palesavano nubi piene di incertezza – da quella internazionale a quella sul caro vita.

«Aumentare i salari non porterà a un aumento dell’inflazione, ma solo a un aumento della domanda interna», è la ratio spiegata con le parole del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini

Se dunque nessuno nega la sfida posta oggi dall’inflazione, si può sostenere – a costo di qualche semplificazione – che nel nostro Paese al momento si confrontino almeno due diverse scuole di pensiero su come affrontarla. Per la prima, con i sindacati Cgil e Uil in testa, l’unica risposta possibile risiede in un aumento dei salari in linea con l’inflazione reale di queste settimane – e non quella depurata dai prezzi energetici come avviene in tempi normali nel nostro Paese. In base a questo approccio, la linea di condotta dovrebbe essere dunque identica d’ora in poi ovunque si aprano tavoli per i rinnovi contrattuali (circa il 38% dei dipendenti privati lavora in settori con contratto scaduto). «Aumentare i salari non porterà a un aumento dell’inflazione, ma solo a un aumento della domanda interna», è la ratio spiegata con le parole del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini.

La seconda scuola di pensiero prende le mosse dai rischi legati a un adeguamento generalizzato e immediato dei salari sulla base della situazione attuale dell’inflazione

La seconda scuola di pensiero prende le mosse dai rischi legati a un adeguamento generalizzato e immediato dei salari sulla base della situazione attuale dell’inflazione. Rischi che nel peggiore dei casi prenderebbero la forma di una «rincorsa tra prezzi e salari», per citare le parole del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, una spirale già vista all’opera in Italia negli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta (fino alla fine della cosiddetta «scala mobile»). Alla rincorsa in questione, che equivarrebbe al radicarsi di aspettative d’inflazione in tutta la popolazione, seguirebbe un’accelerazione della stretta della politica monetaria da parte della Banca centrale europea, con annesso contraccolpo recessivo per l’economia. Per questo motivo la seconda scuola di pensiero insiste nel sottolineare che l’inflazione in Europa al momento è dovuta in grandissima parte al caro energia e che le principali istituzioni economiche si attendono un suo significativo calo il prossimo anno. Se ciò è vero, per evitare una spirale prezzi-salari, meglio dunque procedere con misure una tantum di sostegno alle fasce più deboli, un po’ come fatto finora dal Governo Draghi che ha stanziato 30 miliardi di euro contro l’inflazione, di cui 7 miliardi per il contributo da 200 euro per i redditi bassi e medio-bassi, e 2 miliardi destinati a bonus sociali per elettricità e gas. La seconda opzione non esclude del tutto la prima, ma in questo modo si ritiene di poter sostenere da subito il reddito disponibile delle famiglie più colpite, guadagnando qualche mese in vista di un auspicato ritorno alla normalità di prezzi e congiuntura oppure di decisioni più strutturali.

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