Ripresa da record
ma attenti ai rischi

L’economia italiana è scivolata per colpa della pandemia che l’ha investita all’inizio di due anni fa ma nel 2021 ha recuperato «gran parte della caduta registrata», ha fatto sapere il ministero dell’Economia. C’è di che essere orgogliosi di una prova più brillante di quella di molti Paesi simili al nostro, senza dimenticare tuttavia che recuperare l’equilibrio momentaneamente perduto non equivale a rimettersi a correre come e più di prima. Il Prodotto interno lordo italiano nel 2021 è cresciuto del 6,5% rispetto all’anno precedente,un tasso di sviluppo che non si vedeva addirittura dal 1976, ma nel solo 2020 dei lockdown lo stesso indicatore era crollato dell’8,9%, come non succedeva dagli anni bui della Seconda guerra mondiale.

A contestualizzare tale sequela di record negativi e positivi ci sono le parole di soddisfazione pronunciate dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, che di fronte ai ministri riuniti ha sottolineato due giorni fa come i dati siano «il prodotto della ripresa globale, ma anche delle misure messe in campo dal Governo, a partire dalla campagna di vaccinazione e della politiche di sostegno dell’economia». Nell’ordine, dunque, il rimbalzo italiano è merito dei nostri imprenditori che hanno saputo agganciarsi con rinnovate destrezza e creatività al treno dell’economia planetaria, ma anche di quegli operatori che hanno fatto tesoro di una domanda interna che ha finalmente rialzato la testa grazie alla campagna vaccinale, e infine della stampella offerta dallo Stato a chi da solo non ce l’avrebbe fatta. Il Pil, non lo si ripeterà mai abbastanza, non si crea a suon di decreti o di soli ristori.

Ciò sarà tanto più vero a partire da adesso. Draghi ha sempre detto che il successo delle riforme messe in campo in questi mesi andrà valutato nel medio-lungo periodo: il rimbalzo dopo la caduta non era scontato, certo, ma se tornassimo ai ritmi di crescita pre Covid, da vent’ anni notoriamente più bassi di quelli delle altre economie avanzate, allora non faremmo che riprendere la strada di un inesorabile declino. Al contrario dovremmo farci forti della spinta agli investimenti garantita dai finanziamenti europei di Next Generation Eu per superare le asperità necessariamente legate a una serie di riforme profonde, dalle liberalizzazioni alle politiche di welfare. Non solo. Nei prossimi mesi, mentre da una parte non possiamo escludere nuovi picchi pandemici, dall’altra sappiamo già di avere di fronte sfide monstre come il caro energia che attanaglia l’Europa intera, la trasformazione del settore automotive da ricalibrare su tempistiche ragionevoli e non sulla base di diktat immaginati a tavolino, nonché la possibilità di fiammate inflazionistiche che potrebbero ridurre il potere d’acquisto degli italiani. Imprenditori e partite Iva del Paese, riuscendo da subito a cavalcare il rimbalzo della domanda globale, hanno dimostrato di saper fare nella maggior parte dei casi la loro parte.

L’imprevedibilità degli scenari in cui ci si muove, d’altronde, è un classico della vita dei produttori più innovativi e performanti. A fronte di ciò, la macchina pubblica e la politica dovranno contribuire in modo ben più efficace che con l’elargizione di bonus e sussidi i quali prima o poi andranno a esaurimento. Si tratta innanzitutto di garantire un ecosistema economico nazionale tendenzialmente stabile, con regole quanto più semplici, certe e trasparenti possibile. A questo proposito la rielezione del presidente della Repubblica Mattarella, per quanto comprensibilmente celebrata da operatori di mercato e investitori internazionali come una prova di stabilità, non dovrebbe farci perdere di vista i problemi di un centrodestra e un centrosinistra in dissoluzione che potrebbero palesarsi nei prossimi mesi sotto forma di tendenze neo-proporzionaliste ed esasperata conflittualità politica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA