Ripresa, ostacolo
da tre fattori

Le più raffinate analisi economiche evidenziano che entro fine 2021 l’economia mondiale crescerà del 6%, con una modesta differenza tra le varie aree economiche del pianeta. Per la Cina è prevista una crescita dell’8,5%, per gli Usa del 6,7% per l’Europa del 4,3%, per l’Italia del 5%. Si tratta di una ripresa consistente e generalizzata dovuta in larga parte ad alcuni fattori che si stanno dimostrando determinanti: notevole sostegno pubblico all’economia; tassi d’interesse estremamente bassi; enorme riserva d’acquisto accumulata durante la pandemia; consistente ripresa del commercio mondiale, nonostante gli interventi non sempre calibrati dei vari governi.

Non vanno tuttavia tralasciate alcune variabili che potrebbero compromettere la linearità di questo significativo percorso di ripresa. La prima riguarda una possibile persistenza della pandemia che, nonostante l’ampia copertura vaccinale, con le sue nuove varianti sta ritornando minacciosa in tutti i Paesi. Si potranno mantenere i livelli di sviluppo attuali, se le campagne vaccinali proseguiranno intensamente in ogni parte del mondo e se i governi riusciranno a gestire adeguatamente chiusure e aperture delle varie attività sulla base delle reali condizioni di rischio.

Un’altra criticità potrebbe derivare da un aumento dell’inflazione, che in Europa è ancora al di sotto del 2%, ma negli Usa si sta avviando al 4%. Il timore è che le Banche Centrali, a cominciare da quella americana, non riescano a riequilibrare la situazione senza procedere ad un aumento dei tassi d’interesse, con conseguenti riflessi negativi sulla crescita. Vi sono, poi, problemi specifici per l’Europa che potrebbero derivare dall’attuazione del programma di sviluppo economico sostenibile approvato lo scorso anno. È auspicabile che l’Europa si ponga per prima, come da tradizione, gli obiettivi più ambiziosi riguardo al risanamento del pianeta. La prevista riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030 non può però prescindere dalla necessità di costituire una struttura scientifica in grado di suggerire alla Commissione un programma di politica industriale che consenta di raggiungere tale obiettivo evitando traumi sociali. Non è pensabile che possano essere imposti alle imprese europee costi che limitino le loro capacità competitive con conseguenze sull’occupazione, fino a quando i principali Paesi concorrenti non si pongano sullo stesso piano. Il processo di decarbonizzazione dell’economia, in particolare, non potrà prescindere da un’accurata strategia che tenga conto dei costi legati alla realizzazione dei vari interventi. Nel nostro Paese, ad esempio, i sussidi erogati tra il 2010 e il 2020 per il solare e l’eolico sono ammontati a 130 miliardi di euro e nell’anno in corso supereranno gli 11 miliardi. L’Europa produce attualmente meno dell’8% delle sostanze che inquinano il pianeta. Iniziative più responsabili e sostenibili devono essere richieste soprattutto a Stati come la Cina, gli Usa e l’India che, a fine 2020, producevano emissioni di CO2 rispettivamente per il 27,21%, il 14,58% e il 6,82%. Il compito del G20, quest’anno presieduto dall’Italia, dovrà proprio essere quello di trovare il migliore equilibrio possibile fra tutti gli attori coinvolti.

Nella riunione di Napoli dello scorso luglio si è raggiunto un obiettivo molto importante, con il riconoscimento dell’interconnessione tra clima, ambiente e povertà. Spetterà al prossimo G20 dei capi di Stato, presieduto da Draghi, il compito di sostanziare questo accordo. Ci sarà certamente il pieno appoggio di Biden, che dopo le politiche isolazioniste di Trump è rientrato negli accordi di Parigi sul clima e si propone di sostenere accordi multilaterali. I problemi maggiori continueranno a porli Cina e India, che restano prevalentemente orientate ad accrescere le loro capacità concorrenziali. Che si determini un sostanziabile ripensamento della loro strategia economica è estremamente necessario per un’azione comune di incisivo contrasto degli effetti negativi sul clima. L’Europa è e dovrà continuare ad essere leader e faro dello sviluppo sostenibile, a condizione che la competizione economica globale benefici di regole comuni e di arbitri illuminati e imparziali.

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