
L'Editoriale / Bergamo Città
Sabato 06 Settembre 2025
Se per gli Europei del 2032 urgono stadi basta citofonare Atalanta
ITALIA. «Shame». Vergogna. La parola usata qualche settimana fa dal presidente della Fifa, Aleksander Čeferin, sugli stadi italiani, è di quelle che non lasciano spazio alla fantasia. È una sentenza senza appello.
Una condanna, più che altro. Shame, perché l’Italia si è candidata con la Turchia ad ospitare gli Europei del 2032, ma mentre la Turchia ha indicato dieci stadi per ospitare le partite, e di quei dieci nove sono già pronti, l’Italia ne ha indicati cinque. E di quei cinque, uno solo è già perfettamente in regola: quello della Juventus, a Torino. Altri due, Milano e Roma, pur essendo datati oltremisura, non sarebbero lontani dagli standard richiesti per ospitare la manifestazione. Il problema però riguarda le altre due sedi italiane di Euro 2032, giacché la Federazione dovrà scegliere tra due delle rimanenti sette città indicate in fase di candidatura (Firenze, Bologna, Bari, Napoli, Genova, Verona e Cagliari). Peccato che nessuna di queste disponga, ad oggi di uno stadio considerato a norma. Progetti, quanti ne volete. Mattoni posati... «shame».
Il pubblico di Italia-Estonia
Tutto questo per dire che venerdì sera Bergamo, ospitando Italia-Estonia per il debutto di Gattuso in una cornice di pubblico meravigliosa, ha fatto vedere all’Italia, e certamente anche agli organismi internazionali, che quando si vuole davvero, e si fanno progetti seri e si ha il capitale necessario, persino nella vituperata Italia uno stadio che ormai era un rudere può diventare uno stadio di livello internazionale, in grado sì di ospitare i tifosi nel giorno della partita, ma anche di incassare altrimenti. Che ormai è il vero business degli stadi.
È provocatorio, certo, chiedere che Bergamo venga inserita nelle città ospitanti gli Europei ex post, essendo stata ignorata nel momento della candidatura. Provocatorio, ma fino a un certo punto. Perché poi siccome siamo in Italia le cose finiscono sempre alla stessa maniera: dato che gli stadi sono di proprietà pubblica, li ricostruisce o li ristruttura il pubblico. Cioè, coi soldi di tutti. Quindi via al più classico dei commissari, via al più classico dei decreti, via al più classico degli stanziamenti: 5 miliardini puliti puliti per cancellare quella vergogna ormai conclamata e tentare l’ennesima prova dello sport nazionale per eccellenza, l’emergenza, il recupero disperato, col muratore che scapperà dallo stadio nascondendosi la cazzuola sotto la giacca dieci minuti prima del fischio d’inizio.
Il caso dello stadio di Bergamo
Qui, invece, le cose si son fatte, e non con soldi pubblici. Dentro tempi allungati e condizionati dalla pandemia e con quel che ne è conseguito, ma si son fatte e finite. A partire dalla trasformazione della proprietà dell’impianto, da pubblica e privata, e con tutto quel che ne è conseguito. E non è un’impresa inutile. Se prima si fanno gli stadi, poi si fanno i soldi. Lo dicono i dati. Oggi gli stadi italiani hanno in media più di 60 anni, in Europa circa 35. Il Real Madrid - d’accordo, è una realtà fuori scala - solo col rifacimento del Santiago Bernabeu ha aumentato del 17% gli incassi da merchandising, salendo a 158 milioni annui. In Italia l’Inter ne incassa meno di 20, ed è quella che ha il giro d’affari più alto. Uno stadio rifatto è poi in grado di andare oltre il «match day», incassando anche per i servizi che offre e per l’intrattenimento di altro genere che è in grado di ospitare. Sempre il Real Madrid, dal solo stadio conta di incassare 350-400 milioni di euro all’anno dalle attività non calcistiche. Significa rendersi autonomi persino dai diritti tv. Ma anche incassare di più dal semplice biglietto: in Italia gli stadi si riempiono molto più che in passato (a Bergamo si sfiora il 97%), ma nelle strutture moderne europee si arriva al 95% di posti occupati. Anche grazie alla tecnologia che rende tutto più facile. Sempre al Bernabeu, qualsiasi cosa si compra dalla app con il riconoscimento facciale (e, ovviamente, una carta di credito associata).
Bergamo è pronta per il 2032
Tutto questo per dire che qui a Bergamo siamo, orgogliosamente, un’isola felice in un mare nostrum di stadi che cadono a pezzi. Casomai il commissario venisse commissariato; casomai qualcosa andasse storto tra Tar e - figurarsi - un Consiglio di Stato; casomai qualche impresa fallisse a un metro dal traguardo... Insomma, casomai Bergamo servisse per il 2032, siamo qui, siamo pronti, dopo ieri sera abbiamo la prova provata. Casomai, citofonare Atalanta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA