Soccorsi e pandemia
Una lezione semplice

l soccorso è un gesto ancestrale, vecchio come il mondo. È insito nella persona ancora libera da incrostazioni individualiste, ciniche e rancorose che caratterizzano questi tempi malati, non solo di Covid. Martedì scorso sedici giovani migranti iracheni e afghani, tra cui due donne, sono sbarcati a Nerano, nella penisola sorrentina. Infreddoliti da due giorni di viaggio nel gelo del Mediterraneo e affamati, sono stati soccorsi dalla salumiera del paese, che ha aperto il negozio (era giorno di chiusura) e ha rifocillato il gruppo con cibo e acqua. Il fatto ha avuto rilievo sui siti internet nazionali, per dire dell’epoca: il soccorso è diventato una notizia. Ma l’esercente lo ha riportato alle sue giuste dimensioni: «Il mio è stato un semplice gesto di umanità, lo rifarei altre mille volte. L’acqua e il cibo non si negano a nessuno. E soprattutto in questo periodo così triste a causa del Covid, la solidarietà fa la differenza». Poche e semplici parole per ricordarci che l’aiuto a chi si trova in emergenza è un atto dovuto. Come avvenne nel luglio 2018, quando 56 persone, siriani e curdi iracheni, arrivarono a Isola Capo Rizzuto su un veliero, arenatosi vicino alla riva. Furono soccorsi da bagnanti in vacanza con i pedalò. Tra l’altro aprirono le borse frigo per dare succhi e cibo ai bambini.

In questi tempi il soccorso è stato addirittura criminalizzato, quello in mare delle navi delle ong, e processato, peraltro senza mai produrre condanne. Sarebbe poi un fattore di attrazione per le partenze dei migranti ma studi super partes dimostrano che non è così: nelle scorse settimane senza navi umanitarie nel Mediterraneo ci sono stati comunque centinaia di sbarchi. E a chi approda dopo viaggi da incubo bisogna pur dare da bere e da mangiare, un giaciglio notturno. Il soccorso arriva fin qui, poi tocca allo Stato applicare le leggi che si dà sulla sorte delle persone arrivate.

Chi ancora è animato dal senso del soccorso non lo percepisce come un atto fuori dalla norma, anzi. È l’espressione di un’umanità rimasta viva, non inquinata dalla cattiveria o dall’ideologia politica. Gennaro Arma era il comandante della nave da crociera «Diamond princess» fermata al largo di Yokohama (Giappone) per due settimane perché a bordo scoppiò un focolaio. Arma si è speso per organizzare i soccorsi e ha predisposto la nave come se fosse un ospedale, riuscendo a gestire gli effetti del Covid (quasi 700 contagiati su 3.700 passeggeri e 5 vittime). Quando ha ricevuto il via libera per attraccare al porto, ha fatto scendere tutti i turisti ed è stato l’ultimo a lasciare la nave, come si addice a un vero comandante. Nelle interviste ai giornali lo hanno chiamato eroe, ma lui ha liquidato il termine dicendo: «Ho fatto solo il mio dovere». Gestire bene e con sangue freddo le emergenze è un compito di chi comanda ma oggi tutto ciò che esce dai canoni di una vita senza slanci generosi e senza rischi, è considerato un atto eroico. «Facciamo solo il nostro dovere» del resto è il giudizio che danno del proprio lavoro anche medici, infermieri e volontari nella prima linea del virus.

Poi ci sono piccole attenzioni verso il prossimo bisognoso che sono entrate nella tradizione. A Napoli lo è il caffè sospeso: nei bar si paga per due tazzine, la seconda va a beneficio dei poveri che non possono permettersi nemmeno il piacere di un caffè. In tempi di coronavirus i napoletani, dotati d’ingegno, hanno aggiornato questa tradizione: il tampone sospeso, disponibile negli ambulatori privati per chi non può permetterselo e ha i sintomi del Covid. Un piccolo gesto di soccorso. I talk show animati da liti forsennate tra soloni sul tema del virus e dei relativi provvedimenti, andrebbero zittiti con le sagge parole della salumiera di Nerano: «In questo periodo così triste, la solidarietà fa la differenza».

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