Spartizione di poltrone
I renziani toscani senza sottosegretari

Come tutte le spartizioni delle poltrone, anche quella dei sottosegretari ha registrato vincitori e sconfitti, morti e feriti, grandi illusioni e grandi delusioni. Miserie del potere, si potrebbe dire, ma niente di nuovo sotto il sole:
si racconta che il povero De Gasperi, quando formava un governo, dovesse sopportare la moglie di un aspirante sottosegretario che ogni mattina lo aspettava al portone di casa e petulantemente gli ricordava i meriti del marito (che non fu mai nominato).

Allora come oggi il copione prevede che la maggioranza litighi furiosamente cercando di non dare troppo nell’occhio mentre l’opposizione si indigna e si straccia le vesti per «l’ignobile abbuffata». Questa volta pare che a litigare tra loro siano stati soprattutto i grillini ma anche i democratici non hanno scherzato. I due partiti si sono divisi sottosegretari e viceministri quasi alla pari (come per i ministri): 20 al M5S, 19 al Pd, 2 a Leu. Totale 41. Come vuole la tradizione ognuno ha cercato di piazzare un controllore dell’alleato-avversario: con un ministro grillino, il Pd ha voluto un vice che lo marcasse stretto, e viceversa. L’operazione è riuscita pressocchè ovunque.

Nessun ex ministro dell’era giallo-verde è rientrato, sia pure in posizione minore, ma molti grillini sottosegretari uscenti sono stati confermati, facendo naturalmente storcere il naso agli aspiranti. Inoltre il siciliano Cancelleri, già candidato alla presidenza della Regione, è entrato al governo cancellando in un colpo una regola tabù del M5S, e cioè chi è eletto in un organismo deve obbligatoriamente finire il mandato. Cancelleri potrebbe addirittura restare deputato siciliano e viceministro (con acutissimi mal di pancia degli avversari). Tra i più delusi, il potente Buffagni, uomo delle nomine che aspirava ad andare al Ministero dell’Economia (dove si controllano le partecipate dello Stato: Eni, Finmeccanica, Cdp, ecc.) invece è stato dirottato altrove: viene considerato un silurato. Come altri big: l’ex direttore di Sky Carelli, molto esibito in campagna elettorale, a ogni giro viene pronosticato ministro o viceministro o sottosegretario ma resta regolarmente fuori. Nel Pd a lamentarsi di più in queste ore sono i renziani toscani: nessuno di loro è entrato al governo. Ciò non vuol dire che la corrente dell’ex segretario non abbia raccolto un bel bottino: tre ministri, un vice e quattro sottosegretari. Ma l’esclusione della Toscana viene considerata un’offesa personale al leader e secondo alcuni potrebbe addirittura essere usata come la scintilla che porta alla scissione. A prima vista l’uscita di Renzi dal Pd sembrerebbe in questo momento contraddittoria, dal momento che è stato in gran parte grazie a lui che il Pd è tornato al governo sia pure con l’arcinemico grillino, eppure le voci di una rottura si stanno amplificando in vista della prossima «Leopolda». Oltretutto sembra che D’Alema e Bersani potrebbero rientrare nel partito guidato da Zingaretti, e questo da Renzi e dai renziani viene considerato intollerabile.

Naturalmente Salvini e la Lega accusano senza sosta i due partiti di governo di essere dei «poltronari» che hanno evitato le elezioni con un’alleanza contronatura per paura della vittoria del Carroccio. La rivincita Salvini la sogna alle prossime regionali: si vota in Umbria, Calabria e soprattutto l’Emilia Romagna. Se si confermassero i risultati dei mesi scorsi e la Lega conquistasse tre santuari «rossi», per Salvini sarebbe un modo per riscattare l’errore tattico di questa pazza estate. Pe correre ai ripari il Pd ha già fatto intravedere una alleanza anche locale con i grillini: per ora Di Maio si è dimostrato freddo ma non è detto che alla fine non si accorga che la cosa conviene anche a lui.

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