Stato di diritto
Un baluardo

Nelle pieghe del documento che ha varato i miliardi del Recovery Fund, c’è una ambiguità da risolvere, riguardante il rispetto dei fondamenti dello Stato di diritto. Il principio è stato ribadito per il futuro e non applicato nell’immediato, per non compromettere l’accordo che era in gioco. Ma la questione è cruciale per due Paesi in particolare: la Polonia (che però nelle recenti presidenziali ha segnato una quasi vittoria del candidato liberale) e l’Ungheria, che ha profittato dell’emergenza sanitaria per stringere ancora di più i limiti della libertà di stampa e allargare la durata al potere di Orban.

La questione è seria. Sbaglia una certa opinione pubblica che sottovaluta l’importanza di violazioni apparentemente minori ai diritti di base, perché si scivola anche così verso le democrature, misto illogico tra democrazia e dittatura, o ossimori come la democrazia illiberale inventata proprio da Orban.

È un problema europeo e mondiale. In Europa sovranismi e populismi sono stati battuti alle elezioni del 2019, e quella vittoria delle forze tradizionali ha posto le basi per il rilancio dell’Europa di oggi, quella del Recovery Fund, del Mes e di altri strumenti di corresponsabilizzazione finanziaria fino a ieri avversati. È diventato davvero arduo, ai confini dell’irrealtà, parlare oggi di no euro e di Italexit.

Comiziare al Papeete si può (in Ungheria sarebbe più dura) ma la credibilità è azzerata. Chi è uscito, come il Regno Unito, deve leccarsi da solo le ferite della pandemia e invidiare i 750 miliardi messi in campo dall’Ue (209 all’Italia).

Nel mondo resiste Trump (fino a novembre?), e uno studio di una Università americana ha parlato non a caso di relazione diretta tra incompetenza e rischio democratico. C’è da meditare, visto che quella Usa è ancora una grande democrazia. Ci mancherebbe anche una sommatoria con regimi decisamente autocratici come quelli della Cina, della Turchia o della Russia (che piacciono tanto ad alcuni cultori italiani).

E da noi? Siamo davvero immuni da questo rischio? Il dibattito sui poteri di emergenza è stato comunque salutare. I Dpcm di Conte non sono carri armati o giornalisti in galera, ma bisognerebbe ascoltare di più gli ammonimenti di grandi saggi come Sabino Cassese.

E comunque attenti a certe sottovalutazioni, perché lo Stato di diritto è spesso impopolare ma garantisce tutti. Talora ci sono cose che sembrano giuste per il famoso senso comune manzoniano, ma sono molto pericolose. Strappetti anche piccoli a principi solenni come la non retroattività di certe norme fanno scricchiolare i fondamentali della Repubblica. Cambiare un contratto che prevede penalità perché bisogna punire degli azionisti (Autostrade), o di fatto espropriare un proprietario (i Riva dell’Ilva) è oltretutto autolesionistico. Il mondo dell’economia mondiale si fida sempre meno. Un fondo internazionale si è già ribellato alla presunta soluzione del caso Atlantia e si è appellato all’Ue. Tecnicamente con ragione. Vogliamo essere coerenti fino in fondo? L’applicazione retroattiva della legge Severino a Berlusconi è discutibile. Sul caso specifico, emergono devastanti e deprimenti aspetti che riguardano la Magistratura, ma l’esclusione di un parlamentare dal Senato lo ha deciso la politica. Può piacere e accontentare i seguaci del «ben gli sta», ma attenzione, perché la questione è di principio.

E a proposito di principi. È accettabile che da anni esista una legge che punisce chi salva la gente in mare? E che quella legge non la modifichi nessuno per basse ragioni politiche? È accettabile che nel 2020 i migranti siano ammassati in 500 in capannoni adatti a 100? E soprattutto come fa una coalizione politica sedicente di sinistra a finanziare la Guardia Costiera libica che i migranti li tiene nei lager o li ammazza se tentano la fuga? Vero è che i principi interessano sempre meno, vero è che per fortuna non siamo l’Ungheria e tanto meno la Russia di un autocrate o la Cina di un leader indiscusso, entrambi capaci di garantirsi il potere a vita. Ma siamo l’Italia, e chi le vuol bene davvero un po’ dovrebbe nazionalisticamente vergognarsi, quando i diritti diventano merce elettorale.

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