Sudditanza tecnologica, alternative per l’Europa

MONDO. Senza una protezione delle connessioni legate alla comunicazione dei dati crittografati, tutti i Paesi europei diventano facile preda di chi vuole attaccarli. I droni su Polonia, Danimarca e Norvegia, le violazioni dello spazio aereo dell’Estonia e gli attacchi cibernetici agli aeroporti europei sono un monito.

Per garantire la sicurezza di un sistema Paese ci vuole una rete di satelliti. Quella di Starlink di Elon Musk è attualmente la più performante. Peccato però che sia un’azienda americana guidata da un privato. Il governo italiano si è dato allora da fare per dar v ita ad una propria costellazione satellitare guidata da aziende italiane. Niente da fare. Il Comitato interministeriale di Palazzo Chigi presieduto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy ha dovuto prendere atto che i costi sono troppo elevati. Space X offre all’Italia l’accesso ai servizi di comunicazione satellitare di Starlink a 1,5 miliardi di euro contro i 10 previsti di spesa per eventuali alternative in proprio. Il progetto europeo «Iris 2» è l’altra opzione ma ha accumulato un ritardo che non è recuperabile a breve.

L’imperativo del momento è creare centri di ricerca e sviluppare start-up a livello europeo

Quello che manca è il tempo. Chi come Musk è partito prima è in vantaggio. Le continue provocazioni russe e gli attacchi cibernetici confermano ai governi europei la necessità di una copertura satellitare immediata. Da qui il rovello: unirsi al progetto europeo sapendo di essere vulnerabili per i prossimi cinque anni oppure optare per gli americani che offrono un sistema efficiente immediatamente operativo? L’Italia sembra si stia orientando per la seconda opzione. Sono chiari anche i rischi. Mettersi in mano al magnate Usa vuol dire esporre i dati sensibili e le comunicazioni anche riservate ai ricatti di Oltreatlantico. Un pericolo che non sembra correre il governo Meloni nelle simpatie di Donald Trump sin dall’inizio del suo mandato. Ma i governi cambiano sia di qua che di là dell’Atlantico e la certezza della fedeltà dell’alleato americano viene messa a dura prova ogni giorno. Così il governo sta prendendo atto dello stato di sudditanza tecnologica dell’Italia e della sua impossibilità a rendersi autonomo per i prossimi cinque anni. Tempo necessario per portare avanti il progetto europeo per le connessioni protette e la messa in sicurezza della comunicazione di dati. Ed è in questa costrizione che si misura la perdita di autonomia strategica dell’Europa. Fatto noto che finora sembrava relegato nel rapporto Draghi per gli addetti ai lavori. La verità è che negli ultimi 50 anni in Europa non è stata creata nessuna impresa con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro. Nello stesso periodo in America sono state fondate sei imprese con un valore superiore a un trilione di euro.

Da qui il rovello: unirsi al progetto europeo sapendo di essere vulnerabili per i prossimi cinque anni oppure optare per gli americani che offrono un sistema efficiente immediatamente operativo? L’Italia sembra si stia orientando per la seconda opzione. Sono chiari anche i rischi.

L’imperativo del momento è creare centri di ricerca e sviluppare start-up a livello europeo. Ma ci vuole unità di intenti tra gli attori europei. Il mondo anglosassone è più reattivo. È nato un nuovo asse strategico, una nuova versione tecnologica della «Special relationship». Con una serie di accordi per un valore complessivo pari a 295 miliardi di euro, la scorsa settimana il presidente degli Stati Uniti Trump e il primo ministro britannico Keir Starmer hanno firmato il «Tech prosperity deal». L’Europa fatica però a reagire e non si intravedono passi decisivi sui temi vitali, ovvero come liberarsi dalla dipendenza da Paesi terzi in settori chiave quali materie prime, energia e intelligenza artificiale. Le esigenze strategiche dell’Europa si infrangono sulle civetterie nazionali. La rottura tra francesi e tedeschi sul progetto Fcas per il nuovo caccia di sesta generazione è l’ultimo esempio. Così a Roma tra i due galli duellanti di Francia e Germania si è deciso di optare per il gallo più gallo, quello di Washington.

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