Suicidio assistito, il diritto e la dignità

MONDO. Se i medici possono permettere ai malati terminali di morire, invece di prolungarne la vita contro il loro volere, perché non dovrebbe essere lecito far in modo che muoiano in fretta e senza dolore?

Dietro il dibattito se chiedere ai medici del Servizio sanitario nazionale di prestare aiuto al suicidio assistito c’è questa questione. In seguito alla legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (l.219/2017) c’è il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, anche quelli necessari alla propria sopravvivenza, come alimentazione e idratazione, sottoponendosi però a sedazione profonda continua. I medici hanno l’obbligo di rispettare la decisione del malato di lasciarsi morire. Se c’è tale diritto c’è anche quello di morire grazie all’intervento di un medico? Infatti, affermare che c’è un diritto alla «morte rapida», significa creare giuridicamente un dovere in capo ai medici, che saranno vincolati per legge a mettere in atto un comportamento finalizzato a procurare la morte.

La non punibilità del medico

La Corte Costituzionale, al riguardo, ha stabilito la non punibilità del medico, senza però creare un obbligo di procedere a tale aiuto al suicidio, per cui spetta «alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato» (Sentenza 242/2019, 6). Quindi in Italia l’aiuto al suicidio rimane proibito dall’articolo 580 del Codice penale, ma è esclusa la punibilità in rare e precise circostanze, quando cioè siamo di fronte a paziente con patologia irreversibile, grave sofferenza fisica o psicologica, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, capace di prendere decisioni libere e consapevoli, ma non basta, devono essergli state assicurate la cure palliative, la terapia del dolore e la sedazione, oltre l’assistenza psicologica.

Tuttavia, per i sostenitori del suicidio assistito, se un paziente può decidere di lasciarsi morire è contraddittorio non permettergli di essere aiutato a morire. Come sarebbe discriminatorio consentire l’eutanasia solo a chi dipende da macchinari per la sua sopravvivenza e non a tutti gli altri. Quindi arrivano a concludere che se c’è un dovere (quello del medico di aiutare a morire) allora c’è anche un diritto (quello di decidere di mettere fine alla propria vita).

Quindi arrivano a concludere che se c’è un dovere (quello del medico di aiutare a morire) allora c’è anche un diritto (quello di decidere di mettere fine alla propria vita).

Questa argomentazione si regge su una equiparazione tra la morte derivante da rinuncia o da sospensione di trattamenti medici, che il paziente ha rifiutato, con la morte che consegue a un atto finalizzato a provocarla. Come si sospende così si inietta. Ma è giusto? Dal punto vista etico compiere un’azione negativa (come quella di causare direttamente la morte) non è uguale a non proseguire un’azione che ha in sé un valore positivo (come l’alimentazione e l’idratazione). C’è differenza tra «lasciar morire» e «far morire». Lasciar morire rispetta la vita perché non costringe una persona a vivere a tutti i costi, si accetta che, nonostante le possibilità della tecnologia, la malattia faccia il suo corso. Da parte del medico non c’è l’intenzione di uccidere. Pertanto sarebbe più giusto dire che esiste un diritto a «morire con dignità», usufruendo di tutta l’assistenza necessaria, ma non un diritto a chiedere di provocare la propria morte. Anche l’articolo 13 della Costituzione quando dice che «la libertà personale è inviolabile» non include la possibilità di chiedere l’aiuto al suicidio, ma di non essere ristretti nella propria libertà o costretti a fare cose contrarie alla propria coscienza. Se si farà una legge sul suicidio medicalmente assistito si dovrà prestare attenzione anche a questi risvolti etici oltre quelli giuridici.

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