Svolta green: l’Europa deve restare autonoma

In tempi di globalizzazione, un certo livello di dipendenza di un Paese come l’Italia dai mercati internazionali è una condizione fisiologica, positiva nella maggior parte dei casi perché sinonimo di crescente benessere e più numerose possibilità di scelta per tutti noi. È da evitare, invece, come abbiamo vissuto sulla nostra pelle specie negli ultimi tre anni, un livello patologico di dipendenza economica dall’estero, una situazione che ci può ridurre alla mercè di un singolo Paese o di un piccolo gruppo di Paesi, magari politicamente e culturalmente distanti dai nostri valori.

Nelle prossime settimane, tutti noi italiani continueremo a toccare con mano le difficoltà legate a una forma simile di dipendenza patologica, per esempio nel settore dell’energia. A causa delle tensioni geopolitiche e dei conseguenti tagli alle forniture di gas decisi dalla Russia, infatti, il prezzo medio del metano fornito all’Europa dall’azienda di stato Gazprom dovrebbe attestarsi quest’anno a 730 dollari per 1.000 metri cubi, più del doppio - nota compiaciuto il governo di Mosca - dei 304,6 dollari per 1.000 metri cubi dello scorso anno. Un incremento di prezzo reso possibile dal fatto che l’Europa è a tal punto dipendente dalle forniture russe da non poterne fare del tutto a meno, in tempi brevi, nemmeno nel momento in cui il presidente russo Vladimir Putin porta la guerra alle porte del nostro continente e i nostri Paesi avrebbero tutto l’interesse a contenerne la forza economica e quindi militare. Con tutte le sue lentezze, l’Europa sta tentando di diversificare le sue fonti di approvvigionamento energetico, rendersi indipendente dagli idrocarburi di Mosca e ridurre per questa via il potere di ricatto putiniano.

Il problema è che mentre come europei realizziamo una simile strategia, rischiamo di creare altre situazioni di dipendenza patologica su nuovi fronti del mondo energetico. È quanto sta accadendo riguardo la transizione ecologica della nostra economia e un rapporto sempre più sbilanciato in materia a favore della Cina. Partiamo da una premessa che può aiutarci a chiarire l’entità della sfida che abbiamo di fronte. Per costruire un’auto elettrica e soprattutto le batterie che le consentono di muoversi, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, è necessaria in media sei volte la quantità di minerali utilizzati per un classico motore a combustione. Non solo rame e manganese, ma anche litio, nichel, cobalto e grafite. Gran parte di questi minerali essenziali è oggi nelle mani della Cina, direttamente attraverso aziende controllate dallo Stato oppure indirettamente attraverso acquisizioni di Pechino nei Paesi africani. Un vantaggio non da poco per Pechino, nel momento in cui tutte le economie più sviluppate si stanno muovendo verso l’elettrificazione del loro parco auto. Né il discorso vale soltanto per le vetture di ultima generazione, ma spesso anche per pale eoliche o pannelli fotovoltaici.

Negli Stati Uniti, la consapevolezza di questo «squilibrio» si è diffusa in modo trasversale, senza ormai significative differenze tra Democratici (che oggi esprimono il presidente Joe Biden) e i Repubblicani. Si spiegano così, per esempio, i recenti generosi stanziamenti federali per la produzione di microchip «made in Usa», altro settore nel quale la dipendenza da Pechino ha raggiunto una soglia pericolosa. Gli attori privati, in alcuni casi, remano nella stessa direzione. È ancora una volta la ricerca di materiali essenziali per la transizione ecologica al di fuori della Cina che sta alla base di iniziative come quella finanziata tra gli altri da alcuni degli uomini più ricchi del Paese, da Jeff Bezos e Michael Bloomberg, per ricercare in Groenlandia minerali essenziali per costruire veicoli elettrici.

L’Europa, a questo proposito, come si sta muovendo? Qualche giorno fa Catl, azienda cinese leader mondiale nella produzione di batterie elettriche, ha annunciato l’apertura di un nuovo stabilimento produttivo in Ungheria, in collaborazione privilegiata con la casa tedesca di automobili Mercedes. Non ci sarebbe nulla di male in linea di principio, a patto di attrezzarci da subito come Europei per non svegliarci fra qualche anno e realizzare di aver sostituito una vecchia dipendenza patologica (dalla Russia) con la sua versione aggiornata (dalla Cina).

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