Tra Cina e Usa è sfida aperta

MONDO. Alla parata militare a Pechino per gli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e la vittoria sul Giappone possono essere dati diversi significati.

Un’esaltazione del contributo cinese alla sconfitta dell’Asse? Vero. Uno sfoggio della nuova potenza militare cinese? Vero. Un’allusione alle pretese di Pechino su Taiwan? Vero. Nessuna di queste spiegazioni, però, centra il bersaglio. La parata di Piazza Tienanmen, con missili e carri chiamati a calpestare l’acciottolato dove nella primavera del 1989 furono uccise centinaia di persone che chiedevano una perestrojka versione pechinese, e soprattutto l’arrivo in Cina di decine di capi di Stato e di Governo, ha voluto rappresentare nel modo più clamoroso una realtà nuova: la Cina sfida in campo aperto gli Stati Uniti.

Nuova leadership

Non più nel commercio o nelle nuove tecnologie. Ora la Cina calca la scena come leader potenziale di uno schieramento politico alternativo a quello occidentale a guida Usa. Dicendo a chiare lettere di voler andare fino in fondo: «Il mondo deve scegliere tra la pace e la guerra», ha scandito Xi Jinping. Il parallelo Cina-Usa non va preso alla lettera. Gli Usa esercitano un chiaro predominio politico su molti Paesi, tra cui quelli europei, in un modo che la Cina può solo sognare. La Cina non può pensare di «controllare» l’India e, per quanto si senta spesso dire il contrario, nemmeno la Russia. Ma che siano gli Usa l’obiettivo è diventato evidente con le ultime iniziative di Xi. Per esempio rispondere a muso duro alla prima tornata di sanzioni di Donald Trump, infatti quasi subito ritirata a favore di un negoziato prolungato a novembre. Per esempio liquidare in due ore Ursula von der Leyen, in luglio arrivata a Pechino per negoziare sulle questioni commerciali.

L’Europa perde sempre più peso

L’India ha a lungo goduto di un rapporto privilegiato con gli Usa, che hanno provato a usarla proprio come bastione anti-cinese in Asia. Poi è arrivato Trump con una serie di errori

Per Xi Jinping, come per Vladimir Putin, l’Europa non è più un interlocutore cui prestare troppa attenzione. Il che conferma che in un modo o nell’altro il colosso asiatico ha messo da parte le infinite e ipocrite prudenze e si dispone a una sfida che, nelle intenzioni, deve imprimere un passo nuovo agli equilibri mondiali. Chi lo seguirà su questa strada? A Pechino erano presenti i capi di Stato o di Governo di 26 Stati, non tutti potenti o influenti. Com’è ovvio, servono anche i leader dei piccoli ma vivaci Paesi asiatici o degli inquieti Paesi africani, aree in cui la Cina ha già realizzato una notevole penetrazione. Ed è interessante il rapporto che Pechino potrà sviluppare con le nazioni dell’Asia Centrale, attratte dalle opportunità di business ma anche gelose dell’autonomia. Dando per scontata, per adesione spontanea o necessità, la solidarietà della Russia e dei Paesi a essa collegati (Bielorussia e Serbia), la riuscita della sfida cinese dipenderà dal rapporto che saprà costruire con la rampante India. Dehli e Pechino si sono a lungo detestate, tanto che Narendra Modi e Xi non si incontravano ormai da 7 anni. E l’India ha a lungo goduto di un rapporto privilegiato con gli Usa, che hanno provato a usarla proprio come bastione anti-cinese in Asia. Poi è arrivato Trump con una serie di errori. L’ultimo, imporre dazi al 50% per convincere Dehli a non comprare più petrolio russo a buon prezzo e a non rivenderlo con ricarico agli europei.

Le decisioni dell’India

La mossa (tesa forse a imporre il petrolio americano più che a danneggiare Mosca) ha ottenuto l’effetto opposto: l’India ha mandato a quel Paese gli Usa, ha rinsaldato le relazioni con la Russia e si è riavvicinata a Pechino. La risposta occidentale è parsa improntata alla sorpresa. Trump ha attribuito a Xi e compagnia una «congiura» contro gli Usa, quando invece la sfida è piuttosto aperta. Kallas, responsabile per la politica estera Ue, ha denunciato «una sfida all’ordine mondiale». È vero, la Russia è un Paese invasore, l’India ha appena combattuto l’ennesima guerra con il Pakistan, la Cina minaccia Taiwan, l’Iran ha alimentato il terrorismo in tutto il Medio Oriente. Tanto, troppo disordine. Ma l’Occidente delle imprese in Afghanistan, dell’invasione dell’Iraq, della distruzione della Libia e della Siria e dell’appoggio incondizionato a Israele, può parlare di ordine?

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