Tre indizi: la Russia sente il peso della guerra

«L’operazione speciale in Ucraina potrebbe completarsi nel prossimo futuro». Le parole di Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, venerdì 8 aprile hanno sollevato una piccola onda di speranza, alzata anche dal vento del desiderio di veder finire il più presto possibile l’insensata e atroce guerra in Ucraina.

Anche per questo non si è badato troppo alle altre parole di Peskov, quelle secondo cui «stiamo facendo un lavoro sostanziale sia militarmente, in termini di avanzamento dell’operazione, sia attraverso i negoziatori», che non sembrano fatte per dare calore alle speranze. Però, come si dice per i romanzi gialli e per i delitti, tre indizi fanno una prova. E sul tappeto abbiamo il completo ritiro (o riposizionamento) delle truppe russe dalla regione di Kiev, l’ammissione (sempre da parte di Peskov, quindi ultra-ufficiale) che l’esercito russo ha subito perdite sostanziali e, appunto, questo accenno alla fine della cosiddetta «operazione speciale». Si comincia a sospettare, quindi, che la Russia stia sentendo il peso dell’avventura militare che essa stessa ha lanciato, e che cominci a tastare il terreno, in vista di un accordo, con azioni e dichiarazioni intesi a far calare la tensione.

Bisogna aspettare a giudicare. Se la guerra finisse oggi, il Cremlino dovrebbe ammettere di aver subito una sconfitta cocente. Sul campo di battaglia, perché il terreno ucraino conquistato non è certo tale da giustificare quanto abbiamo visto finora. Ma soprattutto nell’agone politico: la Russia oggi è il paria della comunità mondiale, colpita da sanzioni che certo non verranno meno (almeno non in breve tempo) quando la guerra sarà finita.

E se lo scopo dell’invasione dell’Ucraina era contestare il primato globale degli Usa e quello militare della Nato, il Cremlino per ora deve ammettere di aver ottenuto il risultato esattamente opposto. L’Europa è super-allineata agli Usa e sta concedendo a Biden l’aumento delle spese militari che negava a Trump. E la Nato, senza nemmeno intervenire sul campo ma solo armando gli ucraini, dimostra se non altro di poter impegnare la Russia in una guerra senza fine. Cosa peraltro scontata ma a quanto pare sottovalutata dagli strateghi russi, anche se il bilancio annuale per la Difesa della Russia è di 75 miliardi di dollari e quello della Nato di 1.100.

La strage di Bucha ha lasciato un segno profondo nelle coscienze, e ha reso più seria e consapevole l’attenzione per questa guerra, troppo spesso trasformata quasi in un tifo da derby.

La strage di Bucha ha lasciato un segno profondo nelle coscienze, e ha reso più seria e consapevole l’attenzione per questa guerra, troppo spesso trasformata quasi in un tifo da derby. Anche perché intanto in Ucraina i civili continuano a morire. Ieri decine e decine di vittime alla stazione ferroviaria di Kramotorsk, affollata di persone che cercavano di lasciare la città.

Il rimpallo delle responsabilità è subito cominciato: è stato un missile Tochka-U che solo gli ucraini possiedono, dicono da Mosca; è stato un missile Iskander russo, replicano da Kiev. Certo è un fatto: chi l’ha sparato cercava una strage di innocenti, tanto da scrivere «Per i bambini» sul corpo dell’ordigno. È l’orrore. Quello che in Iraq, in Siria, nello Yemen ci pare così distante. E che adesso è arrivato anche qui, tra noi.

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