Tregua dei dazi
tra Usa e Cina

Il 7 gennaio è partito l’importante accordo sui dazi, stipulato tra Usa e Cina il 2 dicembre scorso, che ha rischiato di fallire dopo l’arresto di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria e figlia del fondatore del colosso delle telecomunicazioni Huawei. Questo arresto è maturato nell’ambito di un’indagine sulla violazione da parte della Cina delle sanzioni all’Iran, ma a turbare i rapporti tra i due Paesi era intervenuta anche la preoccupazione che gli smartphone cinesi potessero essere usati addirittura a scopi di spionaggio. Fortunatamente queste perplessità sembrano superate e con l’avvio dell’accordo la guerra dei dazi tra Usa e Cina registra una tregua. Da quando si era insediato alla Casa Bianca, infatti, il protezionista Donald Trump aveva imposto dazi su 250 miliardi di dollari di merci provenienti dalla Cina, accusata di aver raggiunto un surplus commerciale di oltre 200 miliardi di dollari grazie a continue svalutazioni della propria moneta.

La Cina, a sua volta, per rappresaglia, aveva imposto altrettanti dazi su 110 miliardi di dollari di merci importate dagli Usa. Alla luce di presupposti così ruvidi e contornati da reciproca diffidenza, era particolarmente atteso l’incontro tra Trump e Xi Jinping al G20 di Buenos Aires dello scorso 2 dicembre. Fortunatamente si è svolto un «incontro di grande successo», così come definito da una nota presidenziale americana, che ha prodotto un accordo commerciale di grande valore per gli equilibri economici e politici mondiali. Dal gennaio 2019, infatti, gli Usa si sono impegnati a lasciare temporaneamente al 10% le tariffe su 200 miliardi di dollari di merci importate dalla Cina, senza il rialzo al 25% com’era stato annunciato. La Cina, in cambio, si è impegnata all’acquisto dagli Usa di un grosso ammontare di prodotti agricoli, energetici, industriali e di altro tipo, per ridurre lo squilibrio della bilancia commerciale tra i due Paesi. L’acquisto dei beni agricoli è stato previsto a partire da gennaio, così come i negoziati per definire l’acquisto dei restanti beni. Concluso l’accordo, Trump ha dichiarato: «È stato un incontro meraviglioso e produttivo con possibilità illimitate sia per gli Stati Uniti che per la Cina».

Un radicale cambio di atteggiamento, dunque, palesemente determinato dal fatto che le economie di Usa e Cina sono legate da imprescindibili interessi comuni. La Cina avrebbe subito gravi danni dall’inasprimento di misure protezionistiche da parte degli Usa, in quanto in quei mercati esporta oltre il 60% dei propri prodotti. D’altro canto, gli Stati Uniti hanno grande interesse non solo a migliorare i rapporti commerciali verso la Cina, ma anche a mantenere con la stessa buoni rapporti politici, tenendo conto che una parte rilevante del debito pubblico Usa, che ha raggiunto il 105% del Pil, è detenuto dalla banca centrale cinese (3.000 miliardi). A richiamare Trump alla necessità di un dialogo costruttivo c’è anche il crescente ruolo conquistato dalla Cina nello scenario internazionale, che la vede prima protagonista negli scambi commerciali e negli investimenti industriali. Preoccupa, anche, l’ampia offensiva prodotta da Pechino sullo scenario finanziario internazionale. Da qualche anno, infatti, la Cina e i suoi alleati del «Brics» (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) si stanno muovendo per la realizzazione di un nuovo sistema monetario internazionale multipolare, non monopolizzato dal dollaro. Nel frattempo, però, il governo di Pechino ha ottenuto l’inclusione dello yuan nei Diritti speciali di prelievo (Dsp), che rappresentano la moneta di riferimento delle economie occidentali.

L’importante cambio di rotta nelle relazioni Usa-Cina ha dunque motivazioni solide e molto ben ponderate, che dovrebbero garantire la prosecuzione dell’accordo anche dopo i primi novanta giorni sperimentali. Speriamo si sia compreso, finalmente, che solo con l’accordo tra le più grandi aree economiche e finanziarie tradizionali sarà possibile compiere passi concreti sul difficile cammino di un progresso globale, sostenibile e pacifico.

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