Tutti per uno ma ognuno va per sé: è la politica italiana

Il centrodestra ha presentato il suo programma di governo: nel documento c’è dentro di tutto, dalle tasse alla politica estera, con abile uso delle parole per glissare sulle differenze che dividono i tre partiti alleati. Poco importa: Berlusconi, Salvini, Meloni e i capi dei piccoli partiti di centro veleggiano verso un trionfale 46 per cento di voti che garantirebbe quasi i due terzi dei seggi a Montecitorio e a Palazzo Madama, ad un soffio dalla autosufficienza dei due terzi per modificare la Costituzione secondo le idee della destra, a cominciare dal presidenzialismo.

Anche la questione della premiership è risolta: toccherà a chi ha più voti e cioè, stando ai sondaggi, a Giorgia Meloni la quale ieri si è liberata della timidezza e lo ha detto chiaro: «Se vinco, tocca a me». Ciò non toglie che Salvini corra con il suo nome e l’indicazione «premier» sotto il simbolo della Lega, allo stesso modo di «Berlusconi presidente». Ma tutti sanno come andranno le cose: la Meloni oltretutto è quella che ha la percentuale più alta di gradimento tra tutti i leader politici italiani.

Viceversa nel campo del centrosinistra le cose sono ancora per aria, come si dice. Oltretutto l’uscita di Calenda pare che potrebbe costare alla coalizione «progressista» di Letta-Fratoianni-Bonino-Bonelli quasi una trentina di seggi tra Camera e Senato rendendo siderale la distanza con gli avversari di centrodestra. Motivo per alimentare il risentimento nei confronti di Calenda. Il quale però, da solo, pare possa contare su un modesto due per cento dei voti, meno addirittura di Renzi che starebbe intorno al tre. Insieme potrebbero sfiorare il sei per cento, e questo è sicuramente una spinta a chiudere il patto tra loro. A causa dell’ego sterminato dell’uno e dell’altro, non c’è ancora niente di sicuro e da entrambe le parti nelle dichiarazioni alla stampa si usa il freno e l’acceleratore.

Pare che una delle questioni da risolvere sia quella di chi farebbe il «numero uno»: poiché è chiaro che né Carlo né Matteo cederebbero mai il passo all’altro, si pensa ad una terza persona, naturalmente di più debole rilevanza politica, meglio se donna: l’ipotesi infatti è quella di Mara Carfagna come candidata premier e soprattutto come acchiappa-voti di Forza Italia. Il tentativo è ovvio: svuotare ciò che resta della cassaforte elettorale di Berlusconi attraendo chi proprio non vuole saperne di votare una coalizione dove a comandare sia Giorgia Meloni con numero due il capo leghista Salvini. Riuscirà questo tentativo? Per il momento, come detto, i sondaggi sono avari, però un sei per cento non è certo qualcosa da buttare via, anzi. Certo, se le stime di oggi (soprattutto quelle dell’Istituto Cattaneo) fossero confermate e davvero il centrodestra conquistasse quel mare di seggi tra deputati e senatori, il potere di influenza di una piccola forza centrista sarebbe ridotto ai minimi termini.

Notizie dal M5S «che-va-da-solo» (previsione: intorno all’11 per cento dei voti). Finalmente Alessandro Di Battista ha vuotato il sacco e ha detto con sincerità cosa pensa di Grillo («Un padre padrone di cui non mi fido») e del suo ex gemello Luigi di Maio («Un ducetto») riportando a galla vecchi e mai sopiti rancori («Non hanno voluto che facessi il capo politico, io che avevo preso il triplo dei voti di Luigi, anzi hanno anche tenuto nascosti i risultati delle votazioni»). Lo sfogo – un video autoprodotto col telefonino direttamente dall’abitacolo dell’automobile – è l’ennesima dimostrazione dello stato di disfacimento dell’ex partito di maggioranza relativa, dilaniato dalla lotta tra le correnti e dal panico per i pochi posti a disposizione in Parlamento: stando alle previsioni una quarantina tra deputati e senatori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA