Un funerale laico si trasforma in un momento di spiritualità

ADDIO A NAPOLITANO. Dio scrive dritto sulle nostre righe storte, si dice, ma è anche capace di trasformare il profano in sacro, a volte persino un Parlamento in una cattedrale, o almeno in una basilica.

Senza nulla togliere alla laicità di Montecitorio (come è giusto che sia) e alla coerente volontà testamentaria di Giorgio Napolitano, l’impressione che ieri quel luogo designato per officiare funerali rigorosamente laici fosse attraversato da un’intensa luce spirituale era davvero forte. Gli ateisti e i laicisti diranno che si tratta della solita suggestione dei cattolici. Ma come non interpretare gli interventi degli oratori funebri come mossi dalla sacra luce dello Spirito, del Vento Paracleto? Ci sono momenti in cui il confine tra laicità e cristianesimo è molto sottile: come quando Benedetto Croce – il filosofo più amato da Napolitano, più di Marx - invocò il «Veni Creator», in quello stesso luogo, per celebrare la fine dei lavori della Costituente.

Del resto tra gli oratori scelti dalla famiglia c’era anche il cardinale Gianfranco Ravasi, già presidente del Pontificio Consiglio della Cultura ed ex Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Il porporato, ricordando la propria amicizia con il presidente emerito della Repubblica scomparso, ha offerto tra le altre cose un’«istantanea» rivelatrice dell’animo del defunto.

Il post comunista Napolitano, ha ricordato Ravasi, era «attento al discorso spirituale, nel senso più ampio e alto, non confessionale». E ha raccontato come il 5 ottobre 2012, ad Assisi, nell’ambito dell’iniziativa del Cortile dei Gentili, «tenne una straordinaria lezione sul rapporto società- religione, ma soprattutto alla fine raccontò il momento in cui lasciò la sua pratica religiosa, ma confessò di rispondere sempre a un intimo desiderio di raccoglimento, sfuggendo all’assillo degli impegni da cui si rischia di non sollevare lo sguardo». Poi ha citato una frase del profeta Daniele (capitolo 12, versetto 3): «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre». E a proposito di splendore, anche Gianni Letta, certamente il miglior consigliere di Silvio Berlusconi, ha detto con parole evocatrici – dantesche - che Napolitano e il Cavaliere «si chiariranno nella luce».

Visti anche se in televisione, i funerali di ieri hanno registrato un’atmosfera sincera di pace e di unità in un luogo spesso teatro di divisioni e disaccordi («viviamo questo momento in spirito di unita e condivisione», ha esortato il figlio Giulio) ma ha anche rivelato aspetti intimi significativi di un uomo che era anche un splendido marito, un buon padre e un nonno affettuoso, come ha rivelato la nipote Sofia May: «Quando eravamo più piccoli ci scriveva sempre, anche quando non sapevamo veramente leggere, ci chiamava quando gli sembrava ci fossero in televisione dei cartoni che pensava ci sarebbero piaciuti. Ci veniva a prendere a scuola e ci portava a Villa Borghese per un gelato. Ha sempre trovato il tempo per me e Simone».

Sarà anche una suggestione, ma a noi è venuto in mente la lettera scritta da un altro nonno affettuoso, in un contesto di dolore e di sofferenza, quella di Aldo Moro nella prigione del popolo delle Brigate Rosse al nipotino Luca: «Caro Luca, io sono il nonno del casco, il nonno degli scacchi, il nonno dei pompieri della Spagna, del vestito di torero, dei tamburelli. Il nonno, forse ricordi, che ti portava in braccio come il S.S. Sacramento, che tentava di metterti a posto le coperte e poi ti addormentava con un lungo sorriso, sul quale piaceva ritornare. Il nonno che ti metteva la vestaglietta la mattina, ti dava la pizza, ti faceva mangiare sulle ginocchia».

Due nonni affettuosi, due statisti. E probabilmente non è una coincidenza.

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