Un piano per ripartire
ma servono certezze

Di solito davanti a finanziamenti a pioggia, o comunque di rilevante entità, il timore è quello di un assalto alla diligenza. Nel caso del Pnrr, acronimo ormai (quasi) familiare di Piano nazionale di ripresa e resilienza dal suono quasi cacofonico, la paura è semmai quella di non essere pronti a fare fronte all’opportunità di 235 miliardi di euro tra risorse europee e nazionali.Più altre voci di finanziamento che vanno oltre l’orizzonte temporale del 30 novembre 2026, la dead line del Pnrr.

Cinque anni di tempo, con talune scadenze pure anticipate, sono decisamente pochi in un Paese che ha fatto delle procedure eterne la sua regola di vita. Giusto ieri si è chiuso con l’aggiudicazione provvisoria dei lavori il primo (primissimo) round della gara per la sistemazione del famigerato rondò dell’A4 a Bergamo: serviranno due anni di lavori, una volta assegnati, per chiudere la vicenda. Il problema è che nel frattempo ne sono passati 5 dalla firma tra Matteo Renzi e Roberto Maroni - all’epoca rispettivamente premier e presidente della Regione - a suggellare il Patto per la Lombardia. Quello che aveva stanziato il grosso dei fondi, integrato poi in parte meno rilevante (ma comunque decisiva) dalla Regione stessa. Se tutto, ma proprio tutto, andrà bene, dalla firma alla fine dei lavori saranno passati oltre 7 anni: 2 di cantieri, il resto di carta. O chiacchiere.

Qualche altro esempio? Dal 2018 il Piano di sviluppo aeroportuale di Orio al Serio sta vagando per i vari uffici ministeriali (o di enti correlati) romani e non: nel 2020, con le integrazioni richieste, è arrivato al ministero dell’Ambiente dove giace tuttora. Nel frattempo il dicastero (Draghi docet) ha cambiato il suo nome in Transizione ecologica, ma il suddetto piano continua a non transitare. E lo stesso si potrebbe dire per il parere sulla Via (Valutazione d’impatto ambientale) del treno per Orio: al di là del giudizio sull’opera, tempi così lunghi sono insostenibili per qualsiasi progetto, anche il più condiviso.

Se il Pnrr da un lato è una vera e concreta opportunità di ripartenza, crescita e modernizzazione del sistema Paese, dall’altro l’assenza di indicazioni chiare, procedure snelle e iter semplificati rischia di trasformarlo in un colossale - e storico - flop. Intendiamoci, nessuna richiesta di deregulation o scorciatoie nell’iter o negli appalti che diventano solo corsie privilegiate per il malaffare, perché è inutile fare finta che una simile disponibilità di fondi non aumenterà gli appetiti di chi si muove nell’illegalità. Semmai di scelte di buon senso che impediscano ai soliti burosauri (ministeriali e non, ci sono a qualsiasi livello, anche i più vicini a noi) di mettersi per traverso per motivi pretestuosi che quasi sempre coincidono con interessi personali a difesa del proprio metro quadro d’influenza o potere.

Cinque anni vuol dire dopodomani, e con un lasso di tempo così limitato non è possibile fare passi falsi. Dalla presentazione delle linee guida del Pnrr ad oggi i Comuni per esempio non hanno saputo più nulla di chi (e come) gestirà i 90 miliardi di euro che li riguardano. Analogamente non si sa ancora granché delle procedure che s’intendono seguire, delle eventuali semplificazioni, del ruolo di realtà strategiche come le Sovrintendenze, dell’uso (o abuso) di figure commissariali alla bisogna. I soldi ci sono, la buona volontà pure, a tratti s’intravede anche una visione, ma se nelle prossime settimane non si scioglieranno alcuni nodi, burocratici e procedurali in primis, stabilite regole precise e stringenti, reperite e formate le figure necessarie, il rischio è che il Pnrr diventi solo una gigantesca occasione persa. E ci sono almeno 235 miliardi di buone ragioni per impedire che ciò accada.

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