Una Manovra dilaniata
con tutti contro tutti

Un compromesso, alla fine, si trova sempre. Soprattutto se c’è l’obbligo di approvare la manovra economica entro la fine dell’anno e il tempo ormai stringe. Il compromesso, classicamente, si chiama rinvio. Le contestatissime tasse sulla plastica e sullo zucchero scivolano a luglio 2020, e chissà se per quell’epoca il governo ci sarà ancora. Sta di fatto che su un pezzetto piccolo piccolo (qualche centinaio di milioni) della manovra 2020 (che quota 30 miliardi) i partiti da giorni si dilaniano come se fosse la fine del mondo, dando in realtà l’impressione di aver scelto questo terreno per darsele di santa ragione senza correre troppi rischi.

Dunque: le micro-tasse Renzi le voleva cancellare, il M5S e, in parte il Pd, no. Risultato: si rinvia. Quando poi il ministro dell’Economia Gualtieri ha tirato fuori dal cilindro un «tesoretto» di 400 milioni derivante dall’ennesima stretta sui giochi da tabaccaio (sai che fantasia) si è litigato su come destinarlo: anche qui, il Pd voleva impiegarlo per rafforzare il taglio del cuneo fiscale che vale solo 3 miliardi e che dunque in busta paga sarà pressoché invisibile; Italia viva invece insisteva per coprirci il mancato gettito delle microtasse e cancellarle una volta per tutte. La questione sembra ancora aperta.

Per riassumere. Il governo ha fatto il miracolo di attirarsi l’ira di intere categorie (le imprese della plastica e delle bibite gassate e relativi lavoratori; i commercianti minacciati di multe se non usano il Pos, il settore delle auto aziendali) per poi rimangiarsi sostanzialmente tutto dopo aver regalato all’opposizione un argomento d’oro per la sua propaganda. Però, dicono al Pd, abbiamo evitato l’aumento dell’Iva: peccato che una mancata tassa è una cosa di cui il contribuente non si accorge nemmeno. Esattamente, come abbiamo detto, la minore imposizione fiscale sul lavoro, che è la bandiera del Pd zingarettiano ma è minima e quasi simbolica. Diciamo che dal punto di vista della comunicazione politica, si è visto di meglio. Soprattutto alla vigilia di elezioni delicate come quelle in Emilia Romagna con gli operai, gli impiegati e gli imprenditori delle mille aziende di imballaggi in plastica della Via Emilia che sono inferociti e minacciano di non votare il governatore piddino Bonaccini.

Mattarella vuol essere informato costantemente di come vanno le cose, e così ieri sera ha convocato Conte al Quirinale per farsi riferire cosa stavano combinando a Palazzo Chigi. Conte gli ha fatto un quadro della situazione piuttosto desolante: sono tutti contro tutti, con Di Maio che deve difendersi ogni giorno dagli attacchi sempre più violenti dell’opposizione interna e, per non perdere definitivamente il controllo del movimento di cui sarebbe ancora il «leader politico», minaccia crisi di governo che lo annienterebbero; e con la sinistra che è impegnata soprattutto nella baruffa costante tra renziani e piddini. Divisioni interne ed esterne che rendono ancora più complicate le cose. Dunque Conte e Gualtieri dovranno fare il miracolo di portare alle Camere una manovra senza che venga stravolta dalla loro stessa maggioranza nel corso dell’esame parlamentare, e nello stesso tempo giurare alla Commissione (in questo caso a Gentiloni ma non solo) che le cifre del bilancio - entrate, uscite, deficit - non saranno modificate di un centesimo. Una vera e propria quadratura del cerchio.

Nel frattempo il centrodestra è riuscito finalmente a fare una riunione collegiale con Berlusconi, Salvini e Meloni per chiudere gli ultimi accordi sulle elezioni regionali e per guardare a un voto politico che ogni giorno si avvicina di più. Il centrodestra è deciso a mostrarsi unito e quasi quasi ci sta persino riuscendo.

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