Unicredit punta a Mps
Non ci sono alternative

L’intervento di Unicredit su Mps è desiderabile, non ci sono alternative. Non è un regalo alla banca milanese, che infatti non ha sparso entusiasmo nell’annunciarla, ma è l’unica via di uscita da una situazione intricata e lasciata deteriorare troppo al lungo. Mettiamo in fila le circostanze. Mps non può procedere in autonomia perché da almeno 5 anni è stata messa in naftalina dall’assenza di un socio di maggioranza capace di farla navigare da sola e dai miopi committmentes europei, cioè dalle regole imposte dall’Unione - non dalla Bce - per consentire il salvataggio dello Stato con la ricapitalizzazione precauzionale del 2016. Le condizioni erano: che lo Stato uscisse entro il 2021 e che la banca soggiacesse ad alcuni vincoli gestionali. Sostanzialmente una severa cura dimagrante, con cessione di sportelli, di partecipazioni, di crediti problematici e i conseguenti migliaia di licenziamenti e l’impossibilità di compiere il benché minimo investimento, anche solo per ammodernare il sistema informativo che, come tutti sanno, invecchia rapidamente.

Sfido qualunque azienda, in qualunque settore, a prosperare o anche solo a restare appetibile dopo molti anni di stallo e di ridimensionamento, senza neanche poter pensare di rimanere al passo con la concorrenza. Oggi Mps è una banca stremata, benché con una rete commerciale che ha mostrato una grande resilienza, e che richiede un aumento di capitale fra 1 e 2,5 miliardi euro. Il Tesoro, azionista al 64%, non può effettuarlo per i richiamati impegni con l’Europa.

D’altra parte, non c’è in Italia nessun operatore diverso da Unicredit in grado di farsi carico di Mps. Il Gruppo Intesa si è ben volentieri chiamato fuori dai giochi con l’acquisizione di Ubi del 2020, Banco Bpm è grande giusto come la stessa Mps quindi non può assorbirla, Bper dovrà metabolizzare per chissà quanto tempo l’indigestione di nuovi sportelli acquisiti nell’operazione Intesa-Ubi. Solo una mano straniera avrebbe potuto rilevare la banca senese: ancora una volta i francesi, già molto presenti nel nostro Paese con i quasi 1.800 sportelli di Credit Agricole e Bnp? Questa sì sarebbe stata una perdita netta per il Paese, dopo lo sforzo finanziario del contribuente.

Certo, qualcuno si era innamorato di una combinazione fra Mps, Mediocredito Centrale e la sua partecipata Popolare di Bari, per farne una banca dedicata alle piccole e medie imprese, con una particolare vocazione per il Mezzogiorno, magari in sinergia con Poste Italiane. Un pasticcio degno dell’oratoria di Ugo Tognazzi in «Amici miei», un modo per non privatizzare Mps e collocarla in un’area pubblica, dove la politica avrebbe potuto giocare ancora un ruolo egemone. Quella stessa politica che, in concorso con altri discutibili protagonisti, causò lo sfascio della banca più antica del mondo e che l’estate scorsa ha proceduto all’occupazione manu militari di tutte le poltrone, poltroncine e strapuntini disponibili a Siena e dintorni, ovviamente in proporzione cencelliana fra le forze di maggioranza dell’epoca: M5S, Pd e Leu-SI.

Banca Mps ha ancora molto di buono in sé: un gioiello come Mps Capital Services, l’ultima investment bank per le medie imprese italiane e il maggior trader a supporto della gestione del debito pubblica, qualcosa di simile alla vecchia Centrobanca di Ubi e che quel gruppo stava tentando di ricreare con una divisione interna. E poi una valida struttura tecnica e un grande marchio. Andranno dispersi? Il timore c’è, come il rischio di nuove migliaia di licenziamenti, ma la causa non è l’operazione di oggi, bensì la scelleratezza del passato e l’ignavia di quest’ultimo lustro.

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