«Donare il midollo osseo, piccolo gesto che salva una vita e ha cambiato la mia»

L’iscrizione all’Admo a 20 anni, poi la chiamata: «Mi sono commosso, mi sembrava una cosa grande».

«I veri supereroi al giorno d’oggi - dice lo scrittore Massimo Bisotti - sono quelli che, come super potere, hanno il coraggio di amare». È questo il messaggio che Beppe Pinotti, 53 anni, di Ponteranica, volontario dell’associazione Admo, porta ai ragazzi delle scuole, raccontando un’esperienza che vent’anni fa gli ha cambiato la vita: la donazione di midollo osseo all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

«La mia storia nel mondo del volontariato è iniziata nel ’92 quando mi sono iscritto all’associazione Admo su consiglio di Carmen Pugliese, referente provinciale. Avevo vent’anni e forse per la giovane età l’avevo considerato un po’ come un gioco, senza una grande consapevolezza dell’impegno che mi ero assunto. Non avrei mai immaginato in quel momento dove avrebbe potuto condurmi questa avventura. È stata una scelta spontanea e disinteressata, perché nessuno della mia famiglia aveva mai avuto bisogno di una donazione di midollo osseo, né aveva sofferto di malattie gravi come la leucemia».

Nove anni dopo, nel 2001, è arrivata una telefonata dall’ospedale: «Mi hanno convocato per eseguire esami più approfonditi, perché era emersa la possibilità che fossi compatibile con una persona che aveva bisogno di un trapianto di midollo. Una vera sorpresa: al momento dell’iscrizione all’associazione, infatti, mi avevano detto chiaramente che per ogni malato in attesa di trapianto c’era solo un donatore compatibile ogni centomila persone, una possibilità molto rara. Ed è toccato proprio a me».

Al momento della convocazione, Beppe ha avvertito un brivido: «Ero molto emozionato - ricorda -, e avevo anche un po’ di paura, ma non ho mai messo in dubbio la responsabilità che mi ero preso, né l’impegno di andare fino in fondo».

I controlli preliminari

All’epoca prima di procedere venivano eseguiti cinque test di controllo a distanza ravvicinata: «Ero ancora un po’ incredulo quando sono andato per la prima volta in ospedale per sottopormi ai prelievi previsti per misurare l’effettiva compatibilità. Quando alla fine di questo iter mi hanno detto che sarei diventato davvero un donatore mi sono commosso, mi sembrava una cosa enorme. Ero consapevole che con questo gesto avrei potuto salvare la vita a una persona. Poi hanno eseguito una serie approfondita di analisi per verificare anche il mio stato di salute. Se ci fosse stato qualche problema si sarebbero fermati, perché ci sono la massima attenzione e rispetto per tutte le persone coinvolte nella donazione. Non si può mettere in pericolo una vita per salvarne un’altra. In questa occasione ho incontrato una ragazza che si era appena iscritta all’Admo, perché il fidanzato si era ammalato di leucemia. Mi ricordo che ci eravamo fermati a parlare un po’ insieme e fatti forza a vicenda». I risultati sono stati tutti positivi, perciò è stata fissata la data dell’intervento: «Ho dovuto superare tante paure - racconta Beppe -, perché non ero mai stato sottoposto ad alcun intervento in anestesia totale, e nel mio caso era stato valutato di prelevare il midollo in modo tradizionale, dalle creste iliache, attraverso un piccolo intervento chirurgico».

I metodi di prelievo

Oggi il metodo impiegato in otto donazioni su dieci è quello del prelievo da sangue periferico: in questo caso la donazione prevede la somministrazione nei 5 giorni precedenti, di un farmaco che promuove la crescita delle cellule staminali nel midollo osseo e il loro passaggio al sangue periferico. «Questa tipologia di prelievo - spiega l’associazione -, indicata come aferesi, si avvale di separatori cellulari: il sangue prelevato da un braccio attraverso un circuito sterile entra in una centrifuga dove la componente cellulare utile al trapianto viene isolata e raccolta in una sacca, mentre il resto viene rinfuso nel braccio opposto».

Il metodo applicato nel caso di Beppe, invece, è quello più «antico» e consiste nel prelievo del midollo osseo dalle ossa del bacino. «Il donatore - chiarisce l’associazione - viene sottoposto ad un’anestesia generale o epidurale, così che non senta alcun dolore durante l’intervento. Questa modalità di donazione ha una durata media di circa 45 minuti. Dopo il prelievo, il donatore è tenuto normalmente sotto controllo per 24/48 ore prima di essere dimesso e si consiglia comunque un periodo di riposo precauzionale di 4-5 giorni. Il midollo osseo prelevato si ricostituisce spontaneamente in poco più di una settimana. Il donatore generalmente avverte solo un lieve dolore nella zona del prelievo, destinato a sparire in pochi giorni» (info www.admolombardia.org, [email protected]).

«Mi hanno ricoverato - ricorda Beppe Pinotti - il 27 agosto del 2001. Ero in una stanza nel reparto di ematologia, proprio in mezzo ai pazienti che avrei dovuto aiutare, anche se in una stanza isolata, e questo ha rafforzato, se ce n’era bisogno, la mia determinazione nel donare, e mi ha aiutato anche a superare i timori e i piccoli fastidi di quelle giornate. Mi sono reso conto osservando i giovani pazienti che incontravo nei corridoi di quanto fossi fortunato ad essere in buona salute. Il giorno dopo il ricovero sono venuti a prendermi, mi hanno fatto l’anestesia ed eseguito il prelievo di midollo. Era tutto nuovo per me, sicuramente ero un po’ in ansia, ma alla fine sono riuscito a superarla meglio di quanto prevedessi. Al risveglio ho sentito un po’ di fastidio solo nella zona del prelievo, che però è passato rapidamente. Sono rimasto in ospedale per un paio di giorni in tutto, la sera dell’intervento sono tornato a casa».

Un’emozione rara

La moglie Paola lo ha affiancato e sostenuto nella donazione: «È stato bello per me - commenta - accompagnare Beppe in questa esperienza importante, che a lui ha tolto poco, ma in cambio ci ha dato moltissimo. È stata un’esperienza significativa per entrambi, ci ha reso più forti e ci ha offerto una prospettiva diversa sulla vita. Alla fine, è stato un dono anche per noi poter offrire questo contributo. Eravamo sposati da poco, non avevamo ancora figli, è stata un’emozione rara e splendida da condividere».

Dopo qualche giorno di convalescenza, la vita di Beppe, che di mestiere fa il magazziniere in una ditta, è ricominciata come sempre: «Poco tempo dopo - racconta con un sorriso - sono tornato in ospedale per gli esami di controllo, ed è emerso che i miei valori sono addirittura migliorati dopo la donazione, quindi ha portato vantaggi anche a me. Una volta terminati i controlli ho ripreso la mia vita di sempre. Dopo il trapianto, il donatore di solito non viene informato sulle condizioni del ricevente. A me invece è capitato con grande gioia di avere notizie inaspettate. Il giorno dell’intervento mi avevano spiegato che era arrivata all’ospedale dalla Spagna una dottoressa che attendeva di prelevare il mio midollo per portarlo con una valigetta a una paziente spagnola che ne aveva bisogno, anche se ovviamente non mi avevano raccontato la sua storia nei dettagli. Poi, però, è arrivato un fax dalla Spagna, nel quale si leggeva che a 180 giorni dal trapianto la ricevente del midollo era in buone condizioni di salute ed era pronta per tornare a lavorare. Anche questo è stato un momento molto commovente».

Beppe ricorda quei giorni come una grande avventura: «La donazione di midollo mi ha cambiato la vita. Ho capito quanto sia importante essere disponibili per gli altri. È stato solo un piccolo gesto, forse, ma fondamentale per altre persone. Quando sono stato in ospedale mi sono fatto raccontare cosa accade a un paziente prima di ricevere il trapianto di midollo: la preparazione è molto faticosa e debilitante, occorre seguire un trattamento aggressivo di chemioterapia, stare in una camera sterile, evitare qualsiasi contatto con il mondo esterno. Poi, però, se tutto va bene è possibile tornare a una vita normale, guadagnare tempo da trascorrere con i propri cari, uscire, andare al cinema, frequentare gli amici. Quella normalità che noi di solito diamo per scontata ma che è particolarmente preziosa per chi è costretto a trascorrere le sue giornate in ospedale».

Il volontariato

L’attività di volontariato di Beppe non è terminata con la donazione: «Ho accolto l’invito di Carmen Pugliese affiancandola negli incontri di sensibilizzazione promossi dall’Admo, offrendo con semplicità la mia testimonianza personale. Non è una cosa naturale per me parlare in pubblico, ogni volta mi agito, ma lo faccio comunque, perché penso che sia molto importante far conoscere la possibilità di diventare donatori di midollo, in modo da poter salvare più persone. Mi è capitato anche di incontrare i ragazzi delle scuole medie del mio paese, una volta tra gli studenti che ascoltavano c’era anche mia figlia Claudia. È stato un momento molto emozionante. Cerco sempre di spiegare ai più giovani che chiunque può diventare un supereroe e salvare una vita con un’azione semplice come la donazione di sangue o midollo osseo. Non ho certo l’aspetto di Spiderman, proprio per questo la mia esperienza può dimostrare a tutti che anche una persona comune può disporre di un grande potere e di un’opportunità preziosa per aiutare gli altri. Ci sono molti modi per farlo, ovviamente, questo è solo uno dei tanti. Mettersi a servizio di chi ne ha bisogno è davvero importante, è ciò che dà senso e sapore alla mia vita. Mi sono iscritto anche all’Aido e all’Avis, nonostante abbia paura degli aghi. Cerco di trasmettere questo esempio anche a mia figlia, che mi aiuta nelle attività associative e nelle raccolte fondi: l’unica cosa che possiamo fare è offrire il meglio di noi stessi».

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