Pedrengo, la mamma trasferita dal carcere all’ospedale: oggi l’interrogatorio in camera di sicurezza

IL DRAMMA. La ventisettenne arrestata sabato con l’accusa di aver ucciso i suoi due bambini è stata portata al Papa Giovanni ieri: è guardata a vista. Ha minacciato gesti autolesionistici. In mattinata davanti al gip: oltre 200 pagine di ordinanza.

Ha mostrato atteggiamenti che hanno fatto temere probabili gesti autolesionistici. Per questo ieri mattina Monia Bortolotti, la ventisettenne di Pedrengo arrestata sabato mattina con l’accusa di aver ucciso i suoi due bambini soffocandoli, è stata trasferita dalla sua cella del carcere di via Gleno a Bergamo a una camera di sicurezza dell’ospedale «Papa Giovanni XXIII», dove viene guardata a vista.

Oggi l’interrogatorio di garanzia

Per questa mattina, 7 novembre, è in programma l’interrogatorio di garanzia da parte del giudice per le indagini preliminari Federica Gaudino: interrogatorio che si svolgerà pertanto non più in carcere, bensì in ospedale. Monia Bortolotti sarà interrogata alla presenza del suo legale di fiducia, l’avvocato Luca Bosisio che già la seguiva fin dall’iscrizione nel registro degli indagati, nel marzo scorso, inizialmente a piede libero.

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La donna potrà decidere se rispondere alle domande del gip Gaudino, la stessa che ha firmato la corposa ordinanza di custodia cautelare di circa duecento pagine che ha condotto la ventisettenne in carcere, arrestata sabato mattina dai carabinieri della sezione operativa di Bergamo guidati dal maggiore Carmelo Beringheli nella casa del padre a Gazzaniga. Un arresto scattato per il pericolo di reiterazione del reato e per la spiccata pericolosità sociale della donna, come riferito dagli inquirenti. Sui social, ancora prima dell’arresto e pare anche con gli stessi militari dell’Arma durante le indagini, la Bortolotti si è sempre difesa, parlando di eventi accidentali all’origine della morte dei suoi due figli e facendo riferimento al suo burrascoso legame con la madre adottiva (la ventisettenne era nata in India, a Calcutta, ed era stata adottata quando aveva solo un anno da una coppia di bergamaschi di Gazzaniga).

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Secondo gli inquirenti il movente dei due infanticidi sarebbe da ricondurre «nell’incapacità della madre di reggere alla frustrazione del pianto prolungato dei bambini». Non una patologia psichica, secondo l’accusa, ma un sentirsi inadeguata nella gestione dei figli, aspetto che – è emerso – era noto a tutta la famiglia. Noto in particolare da quando Monia era stata dimessa dopo un lungo ricovero con Mattia, il secondogenito che, stando alle accuse, avrebbe poi ucciso il 25 ottobre del 2022. A soli 19 giorni di vita, il piccolo era infatti finito all’ospedale per oltre un mese: all’atto delle dimissioni, Monia venne visitata da uno psichiatra, che aveva consigliato ai familiari di non lasciarla mai da sola con il bambino. Ma è poi stato proprio in un momento in cui la donna è rimasta da sola con Mattia, il 25 ottobre 2022, che il piccolo viene ucciso, secondo gli inquirenti, stretto in un «abbraccio letale» della stessa madre che, invece, su un gruppo Facebook che racconta le cosiddette «morti in culla» aveva riferito che il piccolo se n’era andato a due giorni dal compimento dei due mesi «molto probabilmente schiacciato da me, mentre mi sono addormentata allattandolo». Mentre di Alice aveva detto che era morta il 15 novembre del 2021, a soli quattro mesi, «soffocata da un rigurgito». Resta da capire cosa racconterà oggi al giudice.

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