Bergamo senza confini / Hinterland
Domenica 26 Ottobre 2025
Giulia, da Bergamo alla California con un sogno chiamato tennis
LA STORIA. Giulia Lodovici, di Curno, a 19 anni è stata selezionata dalla California State University per le sue capacità. A Gorle si è allenata fin da piccola con Paolo Cané.
La passione per il tennis ha portato la 19enne bergamasca Giulia Lodovici negli Usa per un’esperienza unica. Originaria di Curno, si è diplomata lo scorso giugno in relazioni internazionali per il marketing all’Imiberg di Bergamo con la votazione di 98/100. E subito dopo è partita per la California State University di Fresno, dove Giulia si è aggiudicata una borsa di studio che le permette di unire attività accademica e allenamenti a livello agonistico, con un programma fitto di impegni, che prevedono anche tornei durante i fine settimana in giro per gli States.
«Ho iniziato a giocare a tennis quando avevo 11 anni, un po’ tardi per gli standard della disciplina, anche se prima ho praticato tanti altri sport – ricorda Giulia Lodovici –. Nonostante avessi iniziato dopo, rispetto agli altri compagni, i miei allenatori hanno subito notato le mie qualità. Durante le sessioni di allenamento miglioravo più velocemente rispetto ad altri giocatori e di conseguenza ho preso il tennis seriamente, non solo come un hobby».
Come hai gestito la situazione quando è arrivata la consapevolezza dei tuoi mezzi?
«Trascorrevo sempre più tempo sui campi di gioco e ho cominciato a sacrificare il tempo libero per allenamenti e tornei. Tesserata con il Tennis Club Zanica, sono stata allenata individualmente da Paolo Cané a Gorle. Con lui c’è sempre stato un rapporto di stima e rispetto reciproci, per cui mi sono affidata completamente, per acquisire al meglio la sua esperienza da ex giocatore. Devo dire che sono cresciuta tantissimo sul campo, registrando miglioramenti continui. Poi è arrivata l’opportunità di proseguire questo percorso in un college sportivo americano. Avevo in testa questa esperienza, ci ho pensato molto e mi sono detta: o adesso o mai più. Il mio allenatore alla fine ha appoggiato la scelta, anche perché si tratta di un arrivederci e non certo di un addio».
Come si è svolto il percorso di selezione?
«Mi sono affidata a un’agenzia specializzata che ha contatti diretti con i college americani, in grado di promuovere il mio profilo tramite video e classifica tennistica alle diverse università degli States. Quando interessati, sono gli stessi atenei che ti contattano con un vero processo di recruiting che prevede colloqui e test sia in lingua che multidisciplinari. Ho iniziato questo processo a novembre 2024, anche se normalmente si comincia già a un anno e mezzo dal diploma. La procedura di selezione è durata per ben sette mesi, nei quali io sono sempre stata decisa e con le idee chiare. Il 9 giugno ho firmato ufficialmente i documenti per la California State University di Fresno e sono partita due mesi dopo, l’11 di agosto».
Quali emozioni hai vissuto subito dopo la chiamata?
«All’inizio mi spaventava andare dall’altra parte del mondo, ma era l’unica soluzione per cercare di trasformare la passione per il tennis in una professione e carriera tennistica. Se al contrario avessi scelto di studiare in un’altra università italiana, avrebbe significato abbandonare i sogni di gloria, sportivamente parlando».
Come si vive in California?
«Abito in un appartamento distante dieci minuti in monopattino dal campus universitario. Pago io l’affitto e l’ateneo mi rimborsa un importo mensile, oltre a fornirmi tutto quello di cui ho bisogno, dai libri alle racchette, persino l’abbigliamento. Appena arrivata negli Usa, ho dovuto sbrigare una serie di burocrazie, prima di iniziare lezioni in classe e allenamenti. Qui fa molto caldo, la media delle temperature è intorno ai 40 gradi. Di conseguenza affrontiamo la parte sportiva ogni mattina molto presto, dalle 7 alle 11,30, proseguendo con le attività in classe durante il pomeriggio».
Nel rendimento è più importante lo sport o lo studio?
«Diciamo che devi guadagnarti la fiducia dei docenti mostrando che ti impegni, anche perché il college investe parecchio denaro su di te. Oltre alla parte scolastica e agli allenamenti, dobbiamo fare anche piccoli lavori e servizi per la comunità. Gli allenatori sono molto attenti al rendimento accademico e se non dimostri di avere voti importanti, ti fanno fare lavori extra. Inoltre c’è il rischio concreto ti revochino la borsa di studio».
Come viene vista una ragazza italiana che si trasferisce in un college americano per intraprendere la carriera sportiva?
«Qui vedono l’atleta come un idolo, simile al sogno americano a cui siamo abituati nei film. Il mio college, che conta ben 20 mila studenti, investe tanto sul tennis ma anche su football, nuoto, basket, atletica e baseball».
A migliaia di chilometri si avverte un po’ di malinconia per la lontananza da casa?
«Quando ho salutato i miei genitori, mi sono detta: adesso sei tu e devi arrangiarti. Vivere da soli significa uscire dalla propria comfort zone e fare un salto nel buio. Pur conoscendo bene l’inglese, all’inizio si fa fatica, di fatto impari a sopravvivere e ti adatti. Quando inizi a scoraggiarti, ripensi poi a tutto il percorso che hai fatto, riprendendo le motivazioni che ti hanno spinto a prendere questa decisione e vai avanti con forza. Qui mi sento comunque fortunata, perché ho tante persone che mi seguono, anche se è chiaro che mancano gli affetti più cari, così come il cibo italiano. Al supermercato è tutto “family size” con confezioni enormi e appare difficile trovare alimenti salutari. Dopo un po’ si impara a selezionare i prodotti, anche se il cibo italiano manca parecchio. A tal proposito, ho già previsto di rientrare a dicembre con la valigia vuota, in modo da fare rifornimenti e scorte in vista dei mesi a venire».
Qual è la giornata tipo e il percorso universitario previsto nel ciclo di studi?
«L’università dura 4 anni e io ho scelto l’indirizzo Economia e finanza, dopodiché puoi decidere se andare avanti con il master. Le settimane volano e si ha pochissimo tempo libero anche solo per vedere qualche località: basti pensare che ho avuto un week-end libero solo dopo quattro mesi e non ci si annoia mai. Giriamo molto durante i tornei di tennis tra San Diego, Las Vegas e altre città, con la stagione sportiva che si svolge principalmente da gennaio ad aprile, quando ci scontriamo con le altre università americane, dalle quali escono i top 100. Gli Usa ti danno molte più possibilità dal punto di vista sportivo, ma anche se non dovessi riuscire a diventare una giocatrice professionista nel tennis, una cosa è certa: porterò per sempre dentro di me questa gran bella esperienza. Nel frattempo ringrazio il mio allenatore Paolo e la mia famiglia, tenuto conto che non è facile per un genitore, soprattutto per mio papà, lasciare libera una figlia nella scelta di andare lontano da casa. Infine ringrazio la mia professoressa Francesca Giazzi, che mi ha supportato tantissimo».
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