Gli italiani e le tasse il rapporto squilibrato

ITALIA. «Non dirò mai che le tasse sono bellissime». Con questa frase, pronunciata per enunciare l’azzeramento delle cartelle (un piccolo cadeaux per gli autonomi), la premier Giorgia Meloni entra ufficialmente nell’antologia delle citazioni fiscali.

Risponde al ministro Tommaso Padova Schioppa: «Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire a servizi indispensabili come la salute e la scuola». Correva, anzi tassava, l’anno di grazia 2008. La regina delle citazioni fiscali è attribuita a Benjamin Franklin («nella vita di sicuro ci sono solo la morte e le tasse»). Luigi Einaudi spiegava che il denaro dei contribuenti era sacro. Keynes affermava che «sfuggire alle tasse è l’unica impresa intellettuale che offra ancora un premio». L’Italia in questo è campione mondiale. L’ultima relazione sull’economia dell’Istat parla di mancate entrate tributarie per 72,3 miliardi di euro (tre manovre economiche). Se aggiungiamo quelle contributive arriviamo a 83,6 miliardi. Non c’è un caso simile forse in tutta Europa. Per rimanere all’Europa.

Insomma le tasse sono bellissime o no? Cominciamo col dire che è uno dei pochi modi che ha uno Stato per finanzarsi e dunque erogare servizi indispensabili, necessari alla collettività, come sanità, scuola, ordine pubblico e difesa militare. Altre forme di introito possono arrivare dalle imprese pubbliche (però la storia insegna che di solito le aziende di questo tipo più che ricavi producono perdite) o dalla svendita del patrimonio statale (ma ormai ci stiamo vendendo anche i gioielli di famiglia). Resterebbe l’antico rimedio di stampare moneta, ma così si produce solo inflazione, che di per sé è una tassa che svantaggia soprattutto i poveri, essendo lineare. L’ultimo il rimedio di prendere soldi a prestito con i titoli di Stato (ma è un cane che si morde la coda perché poi gli interessi si pagano con i soldi dei contribuenti, e dunque ancora tasse). Dunque né belle né brutte, ma inevitabili. Il problema è che le tasse diventano bruttissime quando non vengono versate in maniera equa. Sempre secondo i dati Istat, il gettito d’imposta è coperto per oltre la metà da lavoratori dipendenti. Inoltre per ogni contribuente che versa almeno un euro ce ne sono due che non versano nulla. Alla fine il 42% dei contribuenti paga il 91% del totale. In definitiva il 54% della popolazione ha redditi mediani inferiori a 10mila euro lordi l’anno. Possibile? Eppure - grazie a Dio - in Italia non ci sono 20 milioni di poveri. È questa l’anomalia tutta italiana: l’evasione fiscale. Che non è soltanto un peccato di omissione ma è anche un modo per prevalere sui contribuenti onesti, cornuti e mazziati.

L’impresa che paga le tasse sarà sfavorita dall’impresa che le evade perché la seconda avrà a disposizione più liquidità e dunque potrà fare concorrenza sleale con investimenti e offerte maggiori nelle aste. L’evasore, in quanto formalmente povero, sale in cima alla lista degli aventi diritti negli asili nido e nelle tasse universitarie dei figli, nei benefits fiscali decretati dal governo, nelle facilitazioni di ogni tipo. Il «finto povero» è una categoria parassitaria piuttosto odiosa, meno eroica di quanto venga dipinta. Se tutti pagassimo le tasse in maniera equa, come prescrive la Costituzione (articolo 53: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacitàù contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività») le tasse diverrebbero non dico bellissime, ma almeno «carine», diciamo «graziose», insomma presentabili, questo sì.

© RIPRODUZIONE RISERVATA