«La morte è il contrario della fine», un libro su Carlo Acutis

LA STORIA. La mamma di San Carlo Acutis, Antonia Salzano, racconta in un libro il «segreto» di suo figlio. «Per chi se ne va è l’inizio della vera vita. Per chi resta può essere sì un purgatorio ma anche occasione di crescita nella fede»

Lo scorso 7 settembre Carlo Acutis, già beatificato nel 2020, è stato proclamato santo da Papa Leone XIV a Roma, durante una cerimonia in Piazza San Pietro. Carlo Acutis era un ragazzo milanese che ha perso la vita a soli 15 anni nel 2006, portato via in pochissimi giorni da una leucemia fulminante.

Nato a Londra e cresciuto a Milano, mostrò una fede profonda fin da piccolo, con una particolare devozione per la Vergine Maria e l’Eucarestia. La sua passione per la tecnologia lo portò a utilizzare il web per creare mostre sui miracoli eucaristici e diffondere messaggi di fede, il che gli ha guadagnato l’appellativo di «patrono di Internet». I suoi resti riposano ad Assisi nella chiesa di Santa Maria Maggiore-Santuario della Spogliazione.

Per conoscere meglio la figura di questo ragazzo, sentirlo vicino, d’esempio e capire la portata dei suoi insegnamenti, si raccomanda di leggere «Il segreto di mio figlio – Perché Carlo Acutis è considerato un santo», appena ripubblicato da Piemme. Dopo, chi vorrà, avrà anche la possibilità di trovare aiuto in titoli usciti di recente, nati dai passi delle Scritture che sono stati rinvenuti nel computer di Carlo e dalle sue annotazioni e riflessioni a riguardo. Il progetto editoriale si compone di «Non io ma Dio», «Santa messa santo me» e «Spiritual insight». Abbiamo parlato con la mamma di Carlo, Antonia Salzano.

Suo figlio le aveva predetto in sogno, poco dopo la sua morte, che sarebbe stato beatificato e poi canonizzato. Carlo era però anche convinto che tutti noi siamo chiamati a diventare santi. Cosa intendeva?

«Intendeva che il Signore si aspetta grandi cose da noi e che chiama i cristiani battezzati a partecipare alla redenzione dell’umanità. Essere santi per mio figlio significava avere una condotta virtuosa, mettere Dio al primo posto, vivere il Vangelo nel quotidiano. Carlo era stato catechista e ai bambini più piccoli parlava di un kit per la santità composto di consigli con cui, in sostanza, li spronava a compiere sforzi d’amore per diventare ciò che dovremmo essere nella mente del Creatore».

Il cuore di quel kit era l’Eucarestia che Carlo definiva, con un’espressione ormai celebre, la sua autostrada verso il cielo.

«La vita straordinaria di Carlo è soprattutto questa vita sacramentale, questa vita eucaristica. Lui aveva un incontro fisico quotidiano con Gesù. Dall’età dei suoi 7 anni, quando in occasione della Prima Comunione scrisse “essere sempre unito a Gesù, questo è il mio programma di vita”, cominciò ad andare a Messa tutti i giorni e a fare l’adorazione eucaristica. Del resto Gesù ci ha promesso non solo una presenza spirituale ma anche concreta, nell’Eucarestia appunto. Così Carlo mi diceva: “Io Gerusalemme ce l’ho sotto casa, dove c’è un tabernacolo; perché Gesù è presente veramente nell’ostia consacrata”. Lasciava irrompere lo straordinario nell’ordinario proprio grazie a quel sacramento, perché secondo lui nella Santa Comunione Dio prova a contagiarci con la sua Santità. Sosteneva che da quando c’è stata la morte e resurrezione di Cristo, da un punto di vista geologico la Terra è la stessa ma da un punto di vista soprannaturale è cambiato tutto perché ora il nostro pianeta è coabitato dalla Santissima Trinità».

Alcuni indicano in suo figlio una sorta di «patrono di Internet» visto l’uso che faceva del mezzo per promuovere l’evangelizzazione. Luogo difficile la rete, per non dire alla deriva.

«Sì, Internet presenta molti lati oscuri, in primis la pornografia. La dipendenza dai social causa modifiche nelle sinapsi cerebrali, si diventa schiavi. Posso solo dire che anziché stordirsi di video su Tik Tok o di scrolling generico, sarebbe importante usare la rete per cercare contenuti di fede. Anche perché la fede va scoperta, alimentata, praticata e anche sudata. Dobbiamo fare in modo di voler nutrire lo spirito: oltre che con i sacramenti serve farlo con la lettura della Parola di Dio che ha una potenza che scava dentro, purifica e salva. Come mostrato da Carlo, la santità dipende dalla volontà».

Leggere l’esempio di suo figlio nel libro che lei gli ha dedicato è farsi un regalo che può in parte cambiare la vita; ma cosa si può fare, in generale, per far scoprire o riscoprire alle persone la fede?

«Penso che il segreto sia insegnare al prossimo a mettersi in ascolto di Dio, a cercare la sua presenza intorno, perché tutto è impronta del Creatore. Dio può arrivare a chiamarci attraverso una persona, un’immagine, un quadro e molto altro. Certo, oggi è un po’ difficile con i rumori che ci sono intorno, ma è possibile prestando attenzione e volendo davvero andare in cerca di Lui».

Cosa avrebbe suggerito suo figlio a chi sta attraversando un brutto periodo?

«Sicuramente di riscoprire una relazione personale con Dio, affidandosi a Lui. In questo modo si lascia che la sua Grazia agisca attraverso di noi e la vita torni a essere piena di senso. Ci sono notti oscure dell’anima che servono a esplorare la fede, ma oggi tante sono invece dovute proprio alla lontananza da Dio. La maggioranza delle depressioni ha origine spirituale. Se tu incontri Dio, invece, sei felice qualunque cosa accada: ecco perché mio figlio ha accettato in maniera santa le sofferenze che lo hanno portato alla morte. Un grande aiuto viene anche dalla decisione di massimizzare la vita in prospettiva di un’eternità, invece che per mero profitto. Qualsiasi traguardo mondano e materiale è destinato a morire con noi, l’anima immortale si nutre invece del Pane del Cielo. Carlo diceva: “Non io, ma Dio” intendendo che il primo vitello d’oro da sconfiggere è l’Ego».

E lei invece cosa direbbe a chi ha perso un figlio o una persona cara?

«Io direi di ricordare che la morte è il contrario della fine di tutto: è l’inizio della vera vita per chi se ne va. Mentre per chi resta può essere sì un purgatorio ma anche occasione di crescita nella fede e nella speranza in Dio. L’importante è evitare di chiudersi nella sofferenza, aprirsi verso gli altri e iniziare magari a fare opere di bene».

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