Progressisti divisi, puzzle difficile da comporre

POLITICA. Romano Prodi lo ha detto in faccia a Giuseppe Conte: «Continuate così e finirete per perdere sempre».

Il Professore si riferiva ad un principio vitale ma di cui pure lui porta ancora le ferite sulla pelle: o i «progressisti-riformisti» riescono ad essere uniti o sono destinati a soccombere nei confronti di un centrodestra che, per quanto lacerato da competizioni interne, è sempre riuscito a far prevalere, nei momenti decisivi, la logica unitaria della coalizione; ci riusciva quando a comandare era Silvio Berlusconi e sembra che nonostante tutto ci riesca anche oggi con le seconde generazioni.

Viceversa il centrosinistra non perde occasione per dividersi esercitando senza frenarsi l’arte paralizzante dei veti incrociati. Come sta accadendo in Basilicata, dove al candidato alle prossime regionali che (sembra) definitivo si è arrivati solo dopo che il Pd ha accettato i diktat di Conte. I dem locali infatti avevano scelto un personaggio molto rappresentativo del mondo del volontariato, Angelo Chiorazzo, ma Conte su di lui ha mostrato il pollice verso e così si è dovuto cambiare cavallo con un primario oculista, il professor Domenico Lacerenza, privo di esperienza politica, scelto quasi a sua insaputa. La cosa ha mandato in subbuglio il Pd lucano («Noi Lacerenza non lo abbiamo mai visto, ritirate quel nome!») e l’ira anche dei centristi, pare nemmeno avvertiti del cambio di programma.

Adesso Azione e Italia Viva stanno con un piede dentro e uno fuori e minacciano di appoggiare qualcun altro: o Marcello Pittella, l’ex presidente della Regione uscito completamente pulito da un’inchiesta finita nel nulla e tuttora grande collettore di voti, o addirittura il campione del centrodestra, il generale Bardi – governatore uscente a suo tempo scelto personalmente da Berlusconi – che Antonio Tajani è riuscito a difendere dalle mire sia di Salvini che di FdI che volevano al suo posto un proprio candidato.

Comunque andrà a finire la telenovela lucana (non sono esclusi colpi di scena dell’ultimo minuto, scissioni locali, nascita di liste alternative modello Soru in Sardegna), il centrosinistra ha dimostrato ancora una volta la problematicità di costruire alleanze tra le sue varie anime: il rapporto tra Pd e M5S, storicamente tempestoso, è ora complicato dal fatto che Conte si è messo in testa di guidare lui il centrosinistra (per esserne in futuro il candidato premier), e quindi non perde occasione di porre le sue condizioni: lo ha fatto in Sardegna e lo sta facendo in Basilicata, ma promette di ripetere il copione nelle prossime occasioni. Cosa che naturalmente fa infuriare gran parte del Pd, soprattutto Guerrini e Bonaccini che accusano la segretaria Schlein di essere troppo arrendevole con le pretese di un capo-partito che ha una dote elettorale che sta subendo vuoti paurosi (per esempio in tutto il Nord i grillini sono quasi spariti mentre resistono più o meno nel Centro-Sud).

Conte ovviamente non vuole avere nulla a che fare né con Calenda né con Renzi, i quali peraltro a loro volta ricambiano sia l’antipatia personale che l’ostilità politica.

Il puzzle insomma è complicatissimo e tocca proprio a Elly Schlein di comporlo. Certo, se in Abruzzo Luciano D’Amico avesse vinto sul meloniano Marco Marsilio, ora le cose sarebbero più facili: il professore di Teramo aveva fatto il miracolo di unire tutte le anime del centrosinistra però Marsilio gli ha dato uno stacco di oltre quarantamila voti, e l’avventura è finita mestamente.

Conclusione: il vento sardo in cui la sinistra ha tanto sperato, si è fermato a L’Aquila e rischia di non raggiungere mai neanche Potenza.

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